Beppe Sala

Perché riaprire il caso Expo non ferma solo Milano, ma un paese intero

Maurizio Crippa

L’avviso di garanzia a Sala è la coda di una guerra giudiziaria e con la politica. Ma c’entra il paese

Milano. La decisione di Beppe Sala di autosospendersi dopo l’avviso di garanzia per falso materiale e falso ideologico “fino al momento in cui mi sarà chiarito il quadro accusatorio” – seppure, secondo il Corriere, sia parsa “irricevibile” anche al prefetto Alessandro Marangoni e sia stata sconsigliata da gran parte della politica, compreso il capo dell’opposizione Stefano Parisi – è ferma. Può apparire la scelta impolitica di un manager non politico, ma è la risposta alla scelta quantomeno inconsueta del procuratore generale di riaprire un’inchiesta per la quale la procura della repubblica aveva chiesto l’archiviazione.

 

  

La scelta della pg di Milano Roberto Alfonso ha aperto la strada al sostituto Felice Isnardi per iscrivere Sala tra gli indagati (prima non lo era) e ottenere sei mesi di proroga per l’inchiesta sulla “piastra” di Expo: un capitolo del 2013 già di fatto chiuso, senza implicazioni di Mr. Expo, dalla procura guidata al tempo da Edmondo Bruti Liberati. Il quale aveva avocato a sé tutti i fascicoli della cosiddetta “area omogenea Expo”, sottraendola al suo vice Alfonso Robledo, poi trasferito. La guerra interna alla magistratura di rito ambrosiano che ne seguì è nota. Che ieri Robledo abbia dichiarato: “Finalmente la magistratura si è ripresa la sua veste istituzionale, liberandosi dalle influenze della politica e delle correnti”, spiega più di tanti possibili ragionamenti che la riapertura del “caso piastra” con avviso di garanzia a Sala è una coda avvelenata di una guerra interna al potere giudiziario, e tra politica e magistratura, che gli ottimisti ritenevano chiusa: almeno a Milano, dopo i famosi ringraziamenti post Expo di Matteo Renzi al procuratore capo Bruti Liberati per la sua “sensibilità istituzionale”. Alfonso, giunto nel 2015 ed ex procuratore di Bologna, appartiene alla corrente conservatrice di Magistratura indipendente, la stessa cui era vicino Robledo. Ci si può limitare alla considerazione se sia possibile che i due abbiano una stessa sensibilità professionale su cosa significhi liberarsi dalle “influenze della politica”.

 

La procura generale ha ovviamente il dovere-diritto di intervenire contro richieste di archiviazione della procura della repubblica che ritiene non formalmente corrette, e chiedere approfondimenti di indagini. Ma accade di rado che lo faccia, e non solo per aumentare le conflittualità. Averlo fatto in questo caso, però, significa riaprire un contenzioso anche con la politica. Sala non è un politico, tanto meno della scorza di un Vincenzo de Luca. Non ritiene di dover fare il sindaco a tutti i costi, né di doversi sottomettere come persona ai tritacarne giudiziari. Vuole chiarezza, è il tipo d’uomo che potrebbe lasciare. Le considerazioni politiche non gli appartengono, o solo in seconda battuta, però esistono. Il dato da rilevare è che non soltanto il Pd, ma anche le altre componenti della maggioranza di sinistra, che pure hanno nel Dna una propensione alla sottomissione verso i tribunali, si siano mostrate compatte a sostenere che il lavoro dell’amministrazione debba proseguire.

 

Anche l’atteggiamento dell’opposizione – Parisi ha parlato di “reazione isterica”, ma lo ha invitato a tornare al lavoro, Matteo Salvini ha sfoderato fair play istituzionale – segnala un punto che fa del caso Milano qualcosa di diverso dal caso Roma. Nella disastrata situazione di Roma il nodo del contendere è politico e ha come posta in gioco il ruolo e il futuro nazionale del Movimento cinque stelle. Se cadesse la giunta Raggi, si passerebbe dal caos amministrativo al vuoto amministrativo: non è bello, ma il vero dramma sarebbe la prospettiva nazionale. A Milano accade qualcosa di diverso. La giunta di Sala lunedì scorso ha presentato un piano per le periferie che vale oltre 350 milioni, altre centinaia sono stanziati per l’area ex Expo e sta partendo il piano per gli scali ferroviari. Nei quattro anni a venire Milano vedrà investimenti (e potrebbe attirare capitali privati e dall’estero) per cifre miliardarie. Può essere il volano dell’economia nazionale. Il proseguimento del lavoro dell’amministrazione riguarda i milanesi, ma se si fermasse non crollerebbe un sistema politico: si fermerebbe il sistema paese. Le decisioni future di Beppe Sala riguardano anche questo. Dovrebbe riguardare anche le mosse della procura generale, quantomeno in termini di velocità di esecuzione. 

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"