I linciatori professionisti da Mani Pulite alla giustizia sommaria

Guido Vitiello

Lì va cercata, diceva Canetti, la matrice dei linciaggi: “La muta vuole una preda: vuole il suo sangue e la sua morte. Si incoraggia abbaiando tutta insieme”

Cominciò con la lapidazione rituale del cinghiale sotto una grandine di monete, il 30 aprile di ventitré anni fa; ed è finita, la Seconda repubblica, con l’abbattimento della scrofa ferita, nel tripudio del 4 dicembre. Quando una compagine civile si disgrega, dalle sue crepe riaffiora la forma più arcaica di assembramento umano, quella che Elias Canetti chiamava “muta di caccia”. Gli uomini la appresero dai branchi di lupi, capaci di circondare e sbranare un grosso animale; le leggende sui lupi mannari, si legge in “Massa e potere”, attestano la prossimità tra le due specie, canide e umana.

 

 

E come è rivelatrice, la vita segreta delle metafore: dopo aver azzannato la scrofa, Beppe Grillo ha scritto sul blog: “Mi dispiace, non sarò il vostro comico mannaro”. Lì va cercata, diceva Canetti, la matrice dei linciaggi: “La muta vuole una preda: vuole il suo sangue e la sua morte. Deve inseguirla veloce e senza lasciarsi distrarre, con astuzia e tenacia, per afferrarla. La muta si incoraggia abbaiando tutta insieme”. Può abbaiare “Bettino, vuoi pure queste?”, o può abbaiare “Onestà, onestà”: poco cambia. Dal flash mob al lynch mob il passo è breve.

 
Nel maggio del 2014 Grillo diffuse un filmato barbarico, che camuffava goffamente la sua malizia persecutoria sotto un velo di comicità. Si aggirava in un bosco, fingendo di voler stanare il deputato Francantonio Genovese, mentre la Camera decideva sull’autorizzazione al suo arresto: “Cercatelo sul web, cercatelo per le strade, mandateci un indizio, manderemo i nostri rappresentanti. Non deve scappare, non deve scappare!”. Ma non devono scappare neppure le parole scelte, nell’occasione, dal capobranco dei mannari: “Genovese, io ti dichiaro in arresto in nome del popolo italiano”. La stessa formula usata dalla muta di forconi che ha aggredito Osvaldo Napoli fuori da Montecitorio. Ed è proprio in questo scimmiottamento dei crismi della legalità che si misura lo scarto tra il 1993 e le cronache recenti.

 
Un aneddoto della Francia rivoluzionaria, riportato da Salvatore Satta ne “Il mistero del processo”, può essere variamente istruttivo. E’ il 1792, il tribunale sta giudicando il maggiore Bachmann, della guardia svizzera del re, e si appresta a interrogare alcuni soldati. Un usciere si affaccia alla finestra, e cosa vede? Un’orda di sanculotti armata di scuri, di pugnali e di picche trascina i prigionieri davanti a un improvvisato tribunale del popolo e ne fa scempio. Corre voce che i soldati svizzeri siano nella sala delle udienze: i sanculotti, imbestialiti, irrompono grondanti di sangue sulla soglia dell’aula. Mentre gli svizzeri tentano di scappare strisciando sotto le panche, l’accusato Bachmann, che sa di dover morire o per mano dei giudici o per mano dei linciatori, si offre agli aguzzini. Ma il presidente li ferma con un gesto, e i sanculotti si ritirano in buon ordine. “Hanno capito”, annota un commentatore, “che l’opera che essi compiono là in basso, le maniche rivoltate e la picca tra le mani, questi borghesi in mantello nero e cappello a piuma la perfezionano sui loro seggi”.

 
I sanculotti del 1993 si riparavano, docili e fanatici, sotto il mantello nero di Borrelli e del suo pool. Oggi c’è il presagio che vogliano loro stessi, come in un sinistro carnevale, indossare il cappello a piuma ed eseguire sentenze. E’ la fine delle mediazioni nella sua forma più losca. Ed è anche lo sbocco di un ventennio di giurisdizione parallela, mediatica e informale, amministrata con la benevolenza, se non con l’aperto sostegno o perfino con l’istigazione, di certe avanguardie della giurisdizione legittima. Abbiamo visto alti magistrati gomito a gomito con i sanculotti, nelle piazze della “Notte dell’onestà”. E ora che le cose scappano di mano, tra i molti conflitti che s’intravedono all’orizzonte c’è anche quello tra le toghe e le picche. Ma proprio mentre scrivo queste righe, dai loro seggi i borghesi in mantello nero hanno battuto un colpo, anzi due, per ricordare chi comanda, o forse per richiamare i mannari al canile. E delle molte cose che vorrei dire, nessuna eguaglierebbe l’elegante concisione di un commento letto su Twitter: “Non so ancora quale corrente della magistratura voterò alle prossime elezioni”.