Il caudillo eterno

Redazione

Hugo Chávez è tornato a vincere. Dopo la prima sconfitta, sia pure di misura, al referendum costituzionale del 2 dicembre 2007, dopo il “pareggio” alle amministrative dello scorso 23 novembre, è arrivata domenica una vittoria ampia e indiscutibile: il 54,37 per cento dei venezuelani ha detto “sì” alla nascita di una nuova dittatura.

    Caracas. Hugo Chávez è tornato a vincere. Dopo la prima sconfitta, sia pure di misura, al referendum costituzionale del 2 dicembre 2007, dopo il “pareggio” alle amministrative dello scorso 23 novembre, è arrivata domenica una vittoria ampia e indiscutibile: il 54,37 per cento dei venezuelani ha detto “sì” alla nascita di una nuova dittatura. Approvando la modifica degli articoli 160, 162, 174, 192 e 230 della Costituzione, è stato rimosso il limite a due mandati per il presidente della Repubblica, Hugo Chávez, che già annuncia il proseguimento del programma socialista per i prossimi decenni. Anche governatori, sindaci e deputati potranno ricandidarsi: “concessione” comprensibile, tenendo conto che proprio ai mal di pancia di molti boss chavisti era stato imputato l'assenteismo che nel 2007 aveva affossato la precedente proposta di riforma. I numeri parlano da soli: 11.242.717 votanti, contro gli appena 9.002.439 del 2007. Anche al referendum revocatorio del 2004, quello che aveva impressionato il mondo per le ore e ore di fila della gente davanti ai seggi, ci si era fermati a 9.815.631 votanti. Neanche a parlare poi di raffronti con i 6.537.304 votanti alle presidenziali del 1998 o dei 6.288.578 a quelle del 2000. Insomma, l'unico dato superiore, in tutta la storia del Venezuela, sono gli 11.790.397 alle presidenziali del 2006, quando pure Chávez mobilitò tutto per ottenere il chiaro mandato che lo avrebbe legittimato a chiedere la successiva proposta di revisione costituzionale: ottenne il 62,84 per cento dei voti, anch'essa una cifra record. Il trionfo però gli fece abbassare la guardia: affrontò il referendum del 2007 con sufficienza, e fu preso in contropiede.

    Se si vota in un clima rilassato, Chávez corre alla pari. Se fa partire la sua macchina del consenso, è uno schiacciasassi inarrestabile. Certo, qualche colpo incomincia a perderlo. In passato la carota erano le “misiones”, distribuzioni di soldi, generi alimentari, cure mediche, titoli di studio. Questa volta il colonnello ha dovuto consegnare case e impieghi in quantità. In passato il bastone erano le “voci” secondo cui il voto non era affatto segreto: il caudillo avrebbe saputo come avevano votato i suoi amati concittadini. Questa volta i dipendenti pubblici sono stati minacciati chiaramente. In più le confuse vicende degli ordini di arresto per gli autori degli attentati alla Sinagoga principale di Caracas e alla Nunziatura hanno finito per avere un sottinteso di “o me o il caos” a favore di Chávez tale da far sorgere il dubbio che si sia trattato di provocazioni programmate, piuttosto che di frange estremiste scappate di mano.

    Malgrado ciò, il pur ampio 54,37 per cento ottenuto dal “sì” è la più bassa di tutte le vittorie della storia di Chávez: è chiara la sensazione che Chávez abbia raschiato il fondo, e anche per questo l'opposizione ha avuto un atteggiamento diverso da quello avuto, per esempio, nel 2004. Allora come ora i primi exit poll avevano dato infatti gli antichavisti in testa e dunque cinque anni fa ne erano venute dure accuse di brogli, da cui il boicottaggio delle successive politiche. Ora invece, pur deplorando il modo “ineguale” in cui la partita è stata giocata, il Blocco del no ne riconosce il risultato, dicendosi sicuro che di qui alle presidenziali del 2012 riuscirà a recuperare quel che manca per mandare Chávez a casa.

    Fosse un altro, avrebbe probabilmente ragione. Ma Chávez si sta dimostrando un leader sui generis, la cui formazione da Accademia militare gli dà una visione geopolitica e strategica al di sopra degli avversari. Quella visione lo ha reso il leader e il punto di riferimento di una nuova alleanza a livello regionale e globale. Pure se a volte rimane azzoppata da quell'iraconda e insopprimibile vocazione per la bravata machista, da cui è derivato, poco prima del voto, il veto all'ingresso come osservatore di Lech Walesa o l'espulsione dell'eurodeputato spagnolo Luis Herrero. Questo è il Chávez intellettualmente peggiore.

    Il Chávez migliore, invece, è quello che – dopo il “pareggio” di novembre e la constatazione che tutti i suoi potenziali delfini erano rimasti bruciati – ha deciso di giocarsi il tutto per tutto, con un blitz napoleonico, mentre la macchina della mobilitazione elettorale era ancora in piedi e prima che l'irrompere della crisi lo costringesse a prendere decisioni impopolari. L'inflazione del 31,9 per cento durante il 2008 è la più alta di tutto l'emisfero occidentale. Il Global 27, il bond più rappresentativo, è arrivato il 13 febbraio al 51,8 per cento appena del suo valore nominale. Il rischio paese è pure a livelli record regionali, con il 18,27 per cento (l'Argentina dei default è al 16,34). E col crollo dei prezzi del greggio entreranno nel 2009 appena 32.120 milioni di dollari per export, contro un fabbisogno di import pari ad almeno 47.601 milioni.