Luigi Di Maio, Beppe Grillo, Virginia Raggi, Alessandro Di Battista (foto LaPresse)

Tra caso “firme” e Roma, per il M5s è sindrome da contenitore vuoto

Marianna Rizzini

A questo punto della storia emerge l’impossibilità, per i Cinque Stelle, di fare i Cinque Stelle: non si può più di tanto urlare “vaffa” ai “ladri” e “impostori” e “disonesti” e “indagati”, quando la trave è anche nel tuo occhio

Roma. Poteva essere, questa, per i Cinque Stelle, la campagna tonitruante di chi sa di avere i sondaggi a favore (sul “No” al referendum e in generale come forza politica anti-establishment, per di più nel momento in cui si sono rivelati anti-establishment gli elettori di mezzo mondo anglossassone). E infatti così era partita, un paio di mesi fa, la campagna referendaria, con Beppe Grillo che, in quel di Nettuno, e nonostante fosse già emerso qualche problema nella Roma del grande scontento, si era lanciato alla conquista degli indignados ancora indecisi con una serie di “vaffa” d’antan, autorassicuranti per se stesso e per la base: vaffa al sistema, vaffa ai partiti putrefatti, vaffa a Matteo Renzi, vaffa ai suoi complici interni ed esterni. E anche se il caso Roma, con dimissioni simultanee di assessori e capi delle municipalizzate, aveva fatto dire a più di un Cinque Stelle, all’inizio di settembre, “qui abbiamo un problema”, non si pensava certo di ritrovarsi, alla vigilia del voto, con i sondaggi sempre a favore, ma con molto imbarazzo inestirpabile, da gestire in piazza e sui social network (vedi alla voce firme false in Sicilia, con ricaschi a livello di “sospensioni” di parlamentari; e vedi istruttoria dell’Autorità nazionale anti-corruzione sul ruolo del capo personale di Virginia Raggi Raffaele Marra e sulla nomina di suo fratello Renato alla guida della Direzione turismo).

Ed è a questo punto della storia che emerge l’impossibilità, per i Cinque Stelle, di fare i Cinque Stelle: non si può più di tanto urlare “vaffa” ai “ladri” e “impostori” e “disonesti” e “indagati”, quando la trave è anche nel tuo occhio. Né ci si può mostrare garantisti a corrente alternata com’era accaduto finora: bisogna fare i garantisti sempre, con un indagato siciliano al giorno. Che cosa dire, infatti, nel momento in cui si potrebbe essere più che mai polemici, se bisogna stare attenti a ogni particolare, come mai lo si è stati dai tempi dello Tsunami Tour, visto il rischio di essere apostrofati sul web come incoerenti o, peggio, come quelli che fanno “come fan tutti”? E di quali parole, ora, possono caricarsi i “contenitori” umani di vis polemica grillina variamente istituzionalizzata (vedi Luigi Di Maio, vedi Roberto Fico, che ora si aggirano con aria circospetta e un po’ dimessa per tv e aule parlamentari, come ingessati nei tanti non-detti, i concetti passepartout su purezza e diversità antropologica a Cinque Stelle che non si possono più dire, pena la scomunica dell’attivista ignoto, ora disorientato dall’umano errare degli eletti? E’ come avere i generali schierati in campo ma azzoppati (Di Battista fa caso a sé: esterna e basta). Non si può omettere, sulle firme e sul caso Roma, ma neanche addentrarsi troppo nelle terre insidiose dei distinguo e degli “aspettiamo che la magistratura giudichi”, ché c’è sempre qualcuno che può dire “e allora, quando lo facevano gli altri e voi gli urlavate contro?”. E se Fico può almeno rifugiarsi nell’argomento Rai, essendo presidente della Commissione di Vigilanza, il Di Maio vicepresidente della Camera deve tutti i giorni pattinare sul bordo dell’abisso (“nel M5s…ci potrà essere sempre chi sbaglia, l’importante è come reagiamo noi, senza stare a guardare o aspettare ipocritamente le sentenze di terzo grado…”, diceva ieri, per cercare di arginare il dilagare di commenti sulle firme a Palermo).

La exit strategy cerca di indicarla Beppe Grillo in persona: puntare sul grande classico della diversità a Cinque Stelle (il “restitution day” di Firenze) e sull’evocazione di altri mondi, come nella migliore prosa e videoproduzione casaleggiana (nel senso di Gianroberto). Ecco infatti la lettera aperta postata due giorni fa dal comico: “…Noi siamo quelli che avrebbero voluto essere, siamo loro da giovani. Voi siete la prima generazione del Movimento… siamo un esperimento, siamo gli eredi del mondo che verrà…Noi siamo i perdenti e anche un po’ poeti. Imparate ad essere perdenti. Fallire nella vita è accedere alla poesia senza bisogno di talento. Il successo è per il 99 per cento fallimento…”. 

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.