La deputata grillina Maria Spadoni (foto LaPresse)

Vaccinarsi dal grillismo. Dal referendum emerge un nuovo bipolarismo

Redazione

Matteo Renzi ha tanti non-amici, ma un solo vero nemico, il padre-padrone dei Cinque Stelle. Perché?

Chi è l’avversario di Renzi? Grillo. Se applichiamo la teoria di Carl Schmitt al quadro politico la conclusione è la seguente: il premier ha tanti non-amici, ma un solo vero nemico, il padre-padrone dei Cinque Stelle. Perché? Facciamo prima un salto nel passato. Il Partito democratico alla sua nascita aveva un avversario ben diverso da quello pentastellato: il Pdl nacque in una fase incandescente dei rapporti tra Forza Italia e An, fu catapultato nella scena via predellino e si capì subito che comunque non sarebbe andato lontano: c’era già una faglia profonda e lo scotch di quella sera a San Babila era insufficiente a tenere insieme Fini e Berlusconi. Il Pd al contrario era figlio di un’idea che rompeva la liturgia monolitica italiana (tanto da indurre gli avversari del centro-destra a provare una fusione a freddo) si nutriva di competizione e primarie, aveva due figure moderate (Walter Veltroni e Francesco Rutelli) con un terreno comune, l’esperienza di governo prodiana e l’amministrazione della Capitale. L’avversario interno era – allora come oggi – Massimo D’Alema che aveva un disegno egemonico di altro segno.

Il Pdl era un naturale avversario del Pd, ma non poteva costituire un pericolo mortale, per la sua debolezza intrinseca, la prospettiva di una breve durata come somma di forze divergenti e, in più, la natura del suo leader, Berlusconi, imprevedibile perfino a se stesso, uno spiazzista in servizio permanente effettivo, un formidabile frontrunner elettorale, capace di cadere e rialzarsi quando veniva dato per spacciato, un monarca annoiato dal tran tran partitante al punto da favorire una improduttiva anarchia azzurrina, incastrato nel suo conflitto di interessi messo in piazza e giudicato di volta in volta dagli elettori, incapace per sua natura di infliggere il colpo del ko alla sinistra di cui, in fondo, aveva bisogno per definire di fronte ai suoi elettori il suo spazio di manovra politico. Con Berlusconi potevi perdere, ma non morivi mai. Con Berlusconi si poteva vincere, e infatti la sinistra ha avuto le sue occasioni (in parte sprecate, come ha fatto lo stesso Berlusconi) di governo del paese.

Torniamo al presente. Con Grillo la faccenda è diversa. Il comico trasformatosi in politico appartiene alla categoria dei distruttori totali. Questo è il punto sul quale i protagonisti della scena politica italiana dovrebbero riflettere con estrema attenzione. A Berlusconi in questa fase non sarebbe mai venuto in mente di definire un avversario “una scrofa ferita”, un linguaggio truculento, melmoso, ombroso fino a generare inquietudine, parole che sulle labbra di un Salvini qualunque sarebbero degne di attenzione quanto le sue felpe da rapper della Ghisolfa, nel racconto di Grillo assumono le sembianze di una distopia in cui l’antagonista viene scagliato nel fango, negli escrementi e infine trasformato in “pasto nudo”, titolo di un romanzo-incubo di William S. Burroughs sul controllo delle menti. Mai come in questo caso, la parola è rivelatrice della cosa in sé, delle sue pulsioni distruttrici, del suo essere foresta di pugnali e legge della giungla. Il totalitarismo pentastellato si esprime nella degradazione dell’avversario a animale da macello, nell’assalto alla diligenza con la presa finale dello scalpo e la danza intorno al totem. E’ sempre il linguaggio a dare la cifra finale di questa distopia in fieri. Nell’ultimo post del blog di Grillo compaiono parole come “menomato” e “lesioni”, c’è un ricercato, continuo, ossessivo riferimento all’offesa del corpo, alla sua deformazione psichica e fisica. Il movimento grillino è composto dalla mente ordinatrice del capo e dalle sue truppe pronte alla caccia e al sacrificio. E’ la muta descritta mirabilmente da Elias Canetti in Massa e Potere.

Il referendum sarà la prova di questa differenza letale, un sentiero che si biforcherà dopo il voto. Berlusconi e Grillo hanno obiettivi divergenti e tra qualche giorno ne vedremo la plastica rappresentazione: Silvio gioca una partita a scacchi che poggia su un No personale (il suo, figlio di un Mattarella non condiviso) e un Sì dell’azienda (il collettivo, in cerca di stabilità) per essere ben posizionato nel dopo in ogni caso (e con Renzi); Beppe punta l’alabarda sugli avversari, è Attila, nessuno deve sopravvivere al suo passaggio. E’ un piano metodico, senza alleati. Il 5 dicembre ha una storia già scritta. Sì o No, presto o tardi apparirà chiara la reale posta in gioco: il tutti contro uno di oggi (Renzi) è una finzione che verrà sostituita dalla realtà, l’uno contro tutti di Grillo oggi e domani. Il nemico si vede, è quello che marcia da solo.