Matteo Salvini (foto LaPresse)

Salvini pride

Salvatore Merlo
Da Firenze il capo della Lega pretende lo scettro del Cav. Ed ecco come Forza Italia si divide.

Roma. “E’ il Matteo Salvini pride. Lui evidentemente esonderà, ne dirà di tutti i colori. E’ fatto così. Ma noi dobbiamo restare calmi”, ed ecco allora la parola, “calmi”, dice Maurizio Gasparri, e lo dice un po’ a se stesso, un po’ ai suoi colleghi di Forza Italia, mentre tuttavia una scarica sonora di pernacchie li investe tutti quanti alle spalle, come una fucilata: “Chi sarà con me a Firenze inizia un percorso”, fa sapere Salvini alla vigilia della manifestazione di piazza che oggi avrà il tono di un coup, di un golpe, di un’Opa sulla destra del Cavaliere, “chi non c’è è libero di non esserci: però, sia chiaro, è fuori”. E allora Paolo Romani, il capogruppo di Forza Italia, “con calma”, appunto, dice che “non è così che funziona. Non è che lui chiama e noi tutti corriamo. E lo dico con pacatezza”, aggiunge, sollevando però il tono della voce, un po’, e gonfiando pure le narici, come se si stesse preparando a ruggire: “E’ difficile mettersi d’accordo se i toni sono questi, se si va avanti per strappi, minacce, piazze ululanti”. Il Cavaliere ha chiesto agli uomini di non andare da Salvini. “Non ho bisogno che me lo dica il Cavaliere. In quella piazza non c’è politica, ci sono solo urla. Quello di Salvini è uno strano modo di fare politica”.

 

E intanto però nuvole e nuvolette di polvere salviniana si levano qua e là all’orizzonte del Castello di Arcore, fuochi di bivacchi padani punteggiano la notte di Palazzo Grazioli: la vittoria di Donald Trump negli Stati Uniti ha ringalluzzito la Lega e Fratelli d’Italia, Matteo Salvini e Giorgia Meloni, e sospinge verso quel campo anche alcuni uomini del Cavaliere, come Giovanni Toti, e alcune donne, come Daniela Santanchè, con pretese che crescono, s’ingigantiscono, scavalcano forse il senso delle proporzioni. Salvini vuole infatti che Berlusconi gli consegni lo scettro, e non come si prende il dono di un padre, ma come si scippa un tozzo di pane a un estraneo: “A Firenze Berlusconi non ci sarà. Lascio a lui la scelta. Diciamo che Forza Italia negli ultimi anni spesso e volentieri ha guardato indietro, più che guardare avanti”. E allora Daniela Santanchè dice al Foglio che “con Trump è cambiato il mondo e adesso cambia anche la destra in Italia. Non penserete mica che il prossimo candidato premier lo sceglie Berlusconi?”. E Giovanni Toti: “Credo che Berlusconi non possa proprio candidarsi”.

 

Quanto a lui, al Cavaliere, lui tace, aspetta, vuole vedere che succede il 5 dicembre, il giorno dopo il referendum, dunque lascia che ciascuno nel frattempo reciti la sua sceneggiatura, anche quella assordante di Salvini, composta di insulti, imbonimenti e provocazioni che Berlusconi per adesso incassa, facendosi concavo. E’ Stefano Parisi ad assumere il ruolo di antagonista di Salvini sul proscenio pubblico: “Un centrodestra a trazione leghista, anzi, a trazione leghista salviniana, è destinato a non intercettare i voti moderati e quindi a perdere. Appiattirsi sul Carroccio vuol dire semplicemente consegnarsi a Grillo”. Berlusconi invece rimane in silenzio. Al momento opportuno, e solo dopo il referendum, sarà la realtà dei fatti, l’opportunità politica, all’ultimo istante, a dirgli chi scaricare dei due: il moderato Parisi o l’estremista Salvini. Tutto è infatti possibile per il Cavaliere, che intanto osserva Mara Carfagna e ogni tanto la soppesa con lo sguardo, dunque chiede ai commensali: “Secondo te potrebbe essere lei il nostro candidato premier?”.

 

Un’altra alternativa, Mara Carfagna, un’altra ipotesi, un altro fumogeno, l’ennesimo delfino o dinosauro nel cilindro del vecchio inesausto prestigiatore. “C’è Mara, c’è Toti, c’è la Gelmini, che sono tutti quarantenni”, dice Gasparri, “… e poi c’è anche Parisi, malgrado in tutta evidenza non abbia nessuna speranza. Ma io dico questo: che si candidino tutti, anche Salvini. Vediamo chi è più forte. Ma noi non possiamo farci comandare a bacchetta da Salvini, non è lui che decide. ‘Alleati sì, servi mai’, come si diceva da ragazzi nel Fronte della gioventù. E d’altra parte Forza Italia, per numeri, è ancora sopra la Lega. A Milano, a maggio, alle comunali, abbiamo preso il 20 per cento, mentre la Lega il 12. Trump è in America. Ha vinto in America, chiaro? E comunque non mi pare che sia iscritto alla Lega”. Anzi. Se è per questo, intervistato a giugno dall’Hollywood Reporter, alla domanda su che ne pensasse di Salvini, che s’era fatto un selfie con lui, Trump aveva risposto all’incirca così: “Salvini who?”, Salvini chi?, “non so chi sia”.

 

I sondaggi danno Forza Italia e la Lega alla pari, testa a testa, e questo permette agli uomini di Arcore, cioè quei consiglieri che non lasciano nemmeno per un minuto il Cavaliere da solo, di fare spallucce di fronte ai toni roboanti: “A maggio i sondaggi ci davano sotto la Lega. Poi li abbiamo superati nelle urne. Adesso ci danno alla pari. Vuol dire che siamo molto sopra”, sussurrano. Chissà. Oggi intanto, a Firenze, in piazza Santa Croce, va in scena il “Salvini pride”, come lo chiama Gasparri, e in Forza Italia, mentre perdono un po’ la pazienza, invocano la calma. “Fino al 4 dicembre stiamo fermi, per l’amor di Dio!”, si morde la lingua Romani. E poi? “E poi si vede”.

  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.