Il presidente del Consiglio Matteo Renzi (foto LaPresse)

God bless Italicum

Redazione
Eliminare il doppio turno è un errore tragico. Speriamo nel bluff.

La politica è l’arte della rinegoziazione (e anche della negazione) e sarebbe da sciocchi stupirsi per una verità che il giorno dopo diventa una bugia e per una posizione politica che dopo pochi giorni viene prontamente smentita. Quando poi in ballo c’è la propria carriera politica, oltre che la riforma più importante della propria carriera politica, ovvero il referendum costituzionale, si capisce che tutto, o quasi, è lecito, persino dire di essere pronti a rimettere in discussione, in modo radicale, un’altra riforma che ha finora costituito un tratto importante dell’identità renziana: l’Italicum.

 

Si potrebbe dire che è assurdo, razionalmente, rimettere in discussione una legge elettorale che ancora non è stata sperimentata. Ma il punto che più ci preoccupa, nel nostro piccolo, nel nostro essere testardamente maggioritari, è che possa essere stravolta l’idea migliore presente in questa legge elettorale, emblematica di una visione del paese: il doppio turno, l’Italia dei sindaci. Nella bozza di intesa firmata da quasi tutte le correnti del Pd per riformare la riforma elettorale c’è anche questo punto ma ci auguriamo sinceramente che sia solo un’idea che non prenderà forma: un partito che vuole essere a vocazione maggioritaria, che vuole combattere il tripolarismo senza assecondarlo, che vuole costruire un sistema istituzionale sul modello dei sindaci, non fa le cose a metà. Il doppio turno è l’unico strumento che può dare la certezza di avere un partito vincente. E sacrificare il principio della governabilità con il principio della rappresentatività sarebbe un errore, che indebolirebbe anche l’impianto della riforma costituzionale nel caso di vittoria del Sì al referendum di ottobre.

 

La politica è l’arte della rinegoziazione e anche della negazione. E mai come questa volta ci auguriamo che la rinegaziozione del doppio turno sia solo un bluff. Sarebbe la negazione della vocazione maggioritaria.