Luigi Di Maio in conferenza stampa (foto LaPresse)

Toh, Di Maio scopre che la politica costa

Redazione
Il candidato premier del M5s ha speso centomila euro in tre anni.

Ci hanno costretto a parlare di scontrini, a degradare la politica a una questione di rendicontazione (per giunta pasticciona e abbastanza opaca), hanno umiliato la storia democratica del nostro paese con stupidaggini e calcoli bislacchi come questo di Alessandro Di Battista: “Giorgio Napolitano è entrato in Parlamento l’anno della morte di Stalin. Era il 1953 e i suoi sessantuno anni di politica sono costati al contribuente italiano oltre 16 milioni di euro tra stipendi e rimborsi vari”. Poi sui soldi, dopo una campagna forsennata accompagnata dal coro dei famosi webeti, hanno litigato tra loro per mesi, perdendo pezzi, deputati e senatori, fino a ieri, fino a che non abbiamo scoperto che Luigi Di Maio ha speso centomila euro della sua diaria in tre anni: “Sono meno di tremila euro al mese”, ha spiegato ai militanti incavolati perché fomentati per anni dalla propaganda dello stesso Di Maio.

 

“E’ normale per un parlamentare spendere per attività sul territorio”, ha aggiunto. Ed è proprio vero, caro Di Maio: è normale. Fare politica costa, e lei, che si sta accreditando come candidato presidente del Consiglio, in questi ultimi anni ha legittimamente girato e viaggiato parecchio nel mondo, dunque ha speso: in Italia e in Europa, negli Stati Uniti, spingendosi fino in Israele e forse a breve anche a Mosca. “Occorrerebbe ridurre le indennità dei parlamentari a 2.500 euro netti al mese”, disse Di Maio il 9 agosto del 2013. Ecco. Adesso, per cortesia, basta con questa retorica pauperista che comincia anche a puzzare un po’ di paraculismo spinto. Non crede?

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