Pier Luigi Bersani (foto LaPresse)

Così può nascere il partito della nazione grillina

Claudio Cerasa
Perché una sinistra “coerente” con se stessa deve seguire la linea Travaglio, dire no al referendum e iscriversi domani al partito di Grillo.

La parola “coerenza” è una parola che da tempo appassiona il mondo della sinistra. E l’universo progressista, soprattutto quello italiano, è pieno zeppo di dirigenti che hanno scelto di ignorare una grande massima del poeta americano James Russell Lowell: “Solo i morti e gli stupidi non cambiano mai opinione”. A nove anni dalla nascita del Partito democratico la questione della coerenza della sinistra è diventata una nuova questione morale e una parte del mondo del Pd, quella più orientata a votare No al referendum costituzionale, rimprovera all’altra parte del Pd, quella fieramente orientata a dire Sì al referendum, di essere incoerente con se stessa e di aver deciso di tradire i vecchi valori della sinistra. A guardar bene, la critica di incoerenza lanciata dalla sinistra del Pd come una freccia nel corpo di Renzi è una critica corretta. La sinistra di governo è infatti una sinistra incoerente con la storia della sinistra e la posizione che ha il segretario del Pd rispetto alla riforma costituzionale è una posizione incoerente con un episodio importante che riguarda la stessa nascita del Pd. Il Pd è nato ufficialmente nel 2007 ma quello che in molti non ricordano è che in realtà Ds e Margherita trovarono il primo terreno naturale di convergenza nel 2006 ai tempi di un’altra campagna referendaria.

 

Era la primavera del 2006 quando i dirigenti della Margherita e dei Ds scelsero di schierarsi al fianco dei Marco Travaglio, degli Asor Rosa e dei Gustavo Zagrebelsky contro la riforma della Costituzione voluta da Silvio Berlusconi. Lo slogan era lo stesso di oggi: non si tocca la Costituzione, non si tocca la storia del nostro paese. Quella riforma, come ricorda spesso Renzi per convincere gli elettori di centrodestra a votare a favore del ddl Boschi, presentava diversi punti di contatto con la riforma di oggi: superamento del bicameralismo perfetto, riduzione del numero dei parlamentari, maggiori poteri al presidente del Consiglio. Con coerenza, la sinistra di allora si schierò compatta per il No (compreso un allora giovane presidente della provincia di Firenze, un tale Matteo Renzi) e lo fece per le stesse ragioni per cui oggi dice di No alla riforma costituzionale renziana: in definitiva, non vogliamo l’uomo solo al comando. All’epoca, come è evidente, il grillismo non poteva esistere per il semplice motivo che il centrosinistra stava involontariamente covando il grillismo nel suo grembo (Gustavo Zagrebelsky era un acclamato editorialista di Repubblica, Marco Travaglio lavorava a Repubblica e prima di arrivare al Fatto fu a lungo all’Unità e all’Espresso, Casaleggio era il consulente di un partito, l’Idv, alleato del Pd e lo stesso Grillo aveva in tasca la tessera del Pd). E non può stupire dunque se la sinistra che oggi dice di no alla riforma di Renzi è una sinistra che usa le stesse parole (la democrazia è in pericolo) e le stesse tesi (Mussolini è alle porte) del movimento 5 stelle.

 

Pier Luigi Bersani forse lo dice con più classe di Di Maio ma quel “io e Renzi abbiamo due idee di democrazia diverse” esprime lo stesso concetto formulato da Luigi Di Maio: “Renzi è come Pinochet”. La coerenza della sinistra del Pd, rappresentata da Bersani e D’Alema, è in effetti indiscutibile e non c’è dubbio che si tratta di una profonda svolta culturale (anche per il Renzi del 2006) dire Sì a una riforma che, anche grazie all’Italicum, indirettamente rafforza i poteri del governo (niente fiducia al Senato, premio di maggioranza alla camera per chi vince: il famoso, perdonateci il concetto, combinato disposto). L’egemonia grillina, o se volete proto grillina, sulla sinistra del Pd è chiara. E in caso di vittoria del Sì il prossimo 4 dicembre la sinistra non potrà che avere due strade di fronte a sé: o accettare senza più troppe discussioni la presenza forse inevitabile di una nuova sinistra che ha spazzato via la vecchia sinistra; o restare fino in fondo coerente con se stessa e decretare la propria incompatibilità con una sinistra che, così è il refrain, fa le cose della destra. La scelta, in caso di vittoria di Sì, sarà obbligata ma quello che prima del 4 dicembre dovrebbe risultare chiaro alla sinistra che mostra coerenza con la sua storia è che quella coerenza non porta a ricostruire la sinistra ma porta più semplicemente a iscriversi al movimento 5 stelle. Ed è anche per questo che la vittoria del No, nel caso in cui dovesse materializzarsi, non sarà una vittoria di D’Alema o di Bersani: sarà, più semplicemente, la nascita di un grande partito della nazione grillina. Molti auguri.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.