Voterò sì per sconfiggere la santa alleanza degli ingrugniti, in nome di un principio di laicità e di autonomia della politica

Francesco Cundari
Le ragioni del perché No sono conosciute e sono chiare e riguardano più il soggetto della riforma (Renzi) che l’oggetto della riforma (la Costituzione). Quelle del perché Sì sono meno evidenti, meno raccontate e per questo più interessanti. Cosa c’entra la generazione dei trenta-quarantenni con la riforma costituzionale? Girotondo fogliante

Al referendum costituzionale voterò Sì, senza particolari dubbi, ma anche senza particolare entusiasmo, perché considero la domanda contenuta nella scheda – come implicitamente confessato dallo stesso fronte del No con la sua cervellotica polemica sulla formulazione del quesito – addirittura banale. Perché ritengo utile cancellare il bicameralismo paritario e rivedere la pessima riforma del titolo V fatta dal centrosinistra in piena ubriacatura federalista (e non considero particolarmente dannoso ridurre un po’ il numero dei parlamentari o abolire il Cnel). Voterò Sì per la stessa ragione per cui lo avrebbe fatto il 95 per cento degli italiani, se la domanda fosse stata posta loro tre, quattro o quattordici anni fa, e cioè prima che l’ascesa al potere di Matteo Renzi spingesse tanti a rivedere la scala delle loro priorità costituzionali ed esistenziali. Dico 95, e non 100, perché so che esisterà sempre una quota di italiani convinta che l’intelligenza consista nel dare risposte incomprensibili alle domande più semplici, invece che nel contrario. E che dunque, anche di fronte al classico dilemma di Catalano – se preferiscano sposare una donna bella, ricca e intelligente invece che brutta, povera e stupida – sarebbero capaci di votare no, sposarsi la racchia e giurare di essere felicissimi così.

 

Ma la verità è che non sono – non siamo – felicissimi così. E proprio i toni e gli argomenti di questo dibattito lo dimostrano al di là di ogni ragionevole dubbio. A cominciare dall’argomento principe del fronte del No: il fatto che si tratterebbe di una riforma imposta a colpi di maggioranza. Classico esempio di denuncia che si autorealizza, proveniendo proprio da chi, come i parlamentari di Forza Italia, ha votato l’intera riforma esattamente così com’è, salvo poi rimangiarsi tutto e decidere che era una “schiforma”. E perché? Ma è ovvio: perché, essendosi sfilati loro, è una riforma imposta dalla maggioranza. Un tipico argomento circolare, come il 90 per cento delle cosiddette critiche di merito: perché in astratto, si capisce, tutto si può far meglio, ma in concreto quelle formulazioni, belle o brutte che siano, sono le formulazioni su cui si è trovato l’accordo di quel largo arco di forze necessario proprio a evitare una riforma costituzionale imposta a colpi di maggioranza. Se Forza Italia e un pezzo della minoranza del Pd, dopo avere richiesto sempre nuovi sforzi di mediazione e averli ottenuti, tanto da votare la versione finale del testo, si sfilano dicendo che il risultato è pasticciato, con chi ce la vogliamo prendere? Lo stesso si può dire del principale, e pessimo, argomento usato contro il nuovo Senato. Quello secondo cui i senatori eletti dai consigli regionali sarebbero dei delinquenti spediti lì dai partiti per coprirli con l’immunità, perché i consigli regionali sarebbero non solo corrotti, ma anche asserviti ai partiti. Argomento tanto più irritante dopo che molte inchieste-scandalo di questi anni sono finite nel nulla. Ma addirittura surreale quando si accompagna alla denuncia del tentativo di ricentralizzazione contenuto nella riforma del titolo V, che colpirebbe al cuore l’autonomia delle regioni. Insomma, si decidano: le regioni sono la sentina di tutti i vizi, e pertanto indegne di nominare dei senatori, o sono il baluardo della democrazia, le cui competenze vanno difese fino allo stremo?

 

Il carattere pretestuoso di queste obiezioni è l’altra faccia della ragionevolissima banalità del quesito referendario. Ma anche la spia della vera battaglia politica che c’è sotto, che non riguarda Renzi, né l’equilibrio dei poteri, ma l’equilibrio delle nostre scelte e del nostro modo di discutere. Riguarda, insomma, il nostro modo di stare in una comunità, in un partito e persino in un social network. E questa è anche l’ultima ragione per cui voterò Sì: per sconfiggere la santa alleanza degli ingrugniti, in nome di un principio di laicità e di autonomia della politica, prima di tutto dalle nostre personali idiosincrasie.

 

Francesco Cundari, giornalista, scrittore, classe 1978

 

 

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