Pier Luigi Bersani (foto laPresse)

La minoranza del Pd decide di "vedere le carte" di Renzi

Redazione

All'indomani della Direzione del partito, Bersani, Gotor, Zanda e Speranza smentiscono qualunque ipotesi di scissione.

"Questa è casa mia, serve l'esercito per cacciarmi". Il giorno dopo la Direzione del Pd, l'ex segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, smentisce qualunque ipotesi di scissione del partito, talvolta con toni sorprendentemente concilianti nei confronti del premier su referendum e legge elettorale. Da Zanda a Gotor, passando per Speranza, le dichiarazioni di oggi rilasciate dai leader della minoranza del Pd sembrano voler distinguere il destino del governo Renzi dall'esito del referendum e dal dibattito sull'Italicum. Ed ecco allora che l'ex segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, oggi ha dichiarato come il referendum sulle riforme "non è un'Apocalisse" e che Matteo Renzi dovrà restare presidente del Consiglio comunque vada il voto. "Spero che tutti quanti abbiano responsabilità politiche e istituzionali - ha detto Bersani a Montecitorio - dicano al mondo che noi stiamo facendo una discussione, ma che il giorno dopo sarà come il giorno prima sia dal punto di vista socio-economico, sia dal punto di vista della stabilità del governo".

 

"Il Pd è il mio partito. Oggi leggo di scissioni. Per me le scissioni non esistono. Se leggo i giornali italiani sembra che domani mattina noi presentiamo un nuovo simbolo e stiamo per fare una scissione. Questo non è vero. Si può stare dentro il Pd e pensarla diversamente", dice a Omnibus su La7 Roberto Speranza. "Io posso votare no al referendum ma se il giorno dopo c'è la fiducia al governo io la rivoto. Insisto, sono due ambiti diversi. La Carta costituzionale e il governo - rileva
l'esponente della minoranza - sono due cose diverse. Renzi ha sbagliato e ha ammesso il suo errore. Ha sbagliato a dire che da questo voto dipende il futuro del governo. Il governo non ha nulla a che fare. Si sbaglia a cambiare l'oggetto di questo referendum". Speranza sottolinea anche che "Gianni Cuperlo ha detto parole anche con un tono molto emozionato che segnalano come chi sta andando verso il No non lo faccia a cuor leggero. E' una posizione molto, molto difficile a cui ci si arriva perché non si è riusciti a trovare un'altra soluzione. Dopo di che, io sono convinto che bisogna convincere Cuperlo, qualsiasi sia lo scenario, a non dimettersi perché il Parlamento ha bisogno di uno come lui. Stiamo dicendo che così com'è la somma tra l'Italicum e la riforma costituzionale ci porta a votare il No. Il voto sulla riforma costituzionale ha un elemento di sacralità che niente ha a che fare con le vicende interne al Pd e il governo. I cittadini italiani devono votare solo questo, non Renzi".

 

Sulla stessa linea anche il senatore della minoranza Pd Miguel Gotor: "Escludo categoricamente ogni ipotesi di scissione che è soltanto nella testa fantasiosa di chi la prospetta". Pur respingendo qualsiasi ipotesi di spaccatura forma del partito, Gotor sottolinea che "l'intervento di Renzi è stato insufficiente per due ragioni che il premier conosce benissimo. La prima è quella di avere rinviato l'eventuale cambio della legge elettorale a dopo il referendum costituzionale e non prima, come ci sarebbe il tempo di fare se esistesse una effettiva volontà politica, pari a quella da lui messa per approvare l'Italicum con la fiducia". "La seconda ragione - prosegue - è la negazione in modo persino irridente del cuore politico della questione. E cioè l'incrocio, a nostro giudizio pericoloso, tra riforma del Senato e la legge elettorale che continua ad essere giudicato un alibi".

 

Una eventuale scissione del Pd, dopo il referendum, "la considero una follia politica assoluta, sarebbe un danno per l'Italia e per l'Europa", ha spiegato anche il presidente dei senatori del Pd, Luigi Zanda, intervenendo a Radio Anch'io. "Ieri ho ascoltato interventi molto appassionati e oggi leggo dei resoconti sui giornali parecchio più drammatici", ha aggiunto Zanda. Per il capogruppo c'è stata "un'apertura da parte di Renzi molto consistente, ha colto il punto, che non è la riforma bensì la legge elettorale e, sulla possibilità di modificarla, ha fatto un'apertura piena".