I vaffa contro il partito del vaffa

Marianna Rizzini
Fenomenologia e lessico dell’addio ai 5 Stelle, per volontà o espulsione, da Pizzarotti a ritroso, fino ai primi casi di insubordinazione a Grillo. “E’ peggio che in Corea del Nord!” – di Marianna Rizzini

Chissà adesso quali codici dialettici bisognerà usare, nel Movimento cinque stelle, per aggirare la suprema volontà del grande capo Beppe Grillo che, costretto a fare retromarcia dall’auto-esilio teatrale dopo la morte di Gianroberto Casaleggio, si è messo a compattare la truppa alla maniera antica: zitti e mosca, dire poco o niente di come funziona la baracca e soprattutto non parlare delle magagne interne all’esterno, pena l’espulsione, perché solo così si difende il Movimento dai “cazzoni che entrano e vogliono fare i cazzi loro”, come ha detto Grillo dal suo blog. “Chi va contro le regole non deve restare all’interno della comunità”, è il nuovo slogan del voto on-line per il rinnovo del regolamento del M5s (la partecipazione al quale, finora, è stata inferiore alle aspettative).

 

Ma il contemporaneo diktat anti-dichiarazioni alla stampa in caso di “problemi” rimanda al passato. E cioè al Grillo Mangiafuoco del 2012-2013, quello che di notte irrompeva dal blog con volto spiritato e adirato per l’insolenza dei criticoni (i quali, il più delle volte, sapevano in partenza che cosa li aspettava candidandosi per il M5s. Ma questo è un altro discorso: da un certo punto di vista si può persino capire la scocciatura del Grillo comandante che pensava di avere soldatini di ferro e si è ritrovato con soldatini di terracotta). Unica soluzione, allora come oggi, l’addio più o meno fragoroso del dissidente medesimo, motu proprio o dopo espulsione.

 

Ed ecco, partendo dalla fine e procedendo a ritroso e in ordine sparso, le più significative formule di “vaffa” al “vaffa” pronunciate da membri del M5s o da persone avvicinatesi al M5s su chiamata diretta (vedi i casi degli assessori o capi di Gabinetto protagonisti, a Roma, il primo settembre scorso, di dimissioni di massa). Del futuro non v’è certezza, ma si attendono nuove formule di commiato dai prossimi dissidenti, dopo la suddetta stretta sul regolamento.
 

 

Formula Pizzarotti (ottobre 2016)

 

Il sindaco di Parma se n’è andato – dopo un lungo falso allarme, un libro e un’interminabile “sospensione” dal M5s. Il suo discorso di commiato, non del tutto catartico (ci sono le amministrative l’anno prossimo e molti attivisti a Cinque Stelle ancora lo sostengono), ha comunque un tono liberatorio: “Sono sempre stato un uomo libero, e da uomo libero non posso che uscire da questo M5s, da quello che è diventato oggi e che non è più quello che era quando è nato…Non sono cambiato io, o i nostri ideali, è cambiato il M5s. E’ mancata la coscienza critica, l’ho esercitata solo io, e quindi vengo visto come disturbatore”. Pizzarotti ha augurato a sé e alla sua squadra un futuro lontano da “arrivisti ignoranti” e anche da leader “freddi”, “distaccati” e quasi “inumani” (alludeva a Beppe Grillo, ma si sospetta che l’epiteto valga anche per altri esponenti di spicco del M5s).

 

 

Formula Salvatore Tutino (settembre 2016)

 

Il magistrato della Corte dei Conti è stato considerato per settimane assessore in pectore al Bilancio della giunta Raggi (dopo le dimissioni di Marcello Minenna e prima della nomina di Andrea Mazzillo). Non parlava, poi ha parlato, e senza lasciare dubbi sulla sua più profonda disillusione: “…Avevo dato la mia disponibilità consapevole delle difficoltà e dei rischi che l’impegno avrebbe comportato. Ma pensavo a difficoltà legate all’impegnativo lavoro che mi sarei trovato ad affrontare …invece da giorni sono sulla graticola, sottoposto a esami surreali. Sono diventato oggetto di una contesa in cui, più che i curricula, contano le illazioni e dove le falsità e le beghe di una certa politica fanno aggio su professionalità e impegno. Gli attacchi, del tutto ingiustificati, da parte di esponenti della forza politica che dovrà sostenere le scelte della giunta, minano alla base ogni possibilità di un proficuo lavoro…”.

 

 

Formula Carla Raineri (settembre 2016)

 

Il magistrato ed ex capo di gabinetto di Virginia Raggi, dimessasi il primo settembre, ha detto la sua con doppia intervista a Corriere della Sera e Repubblica. Succo dell’addio: sapeva troppo, specie del caso Paola Muraro (l’assessore all’Ambiente indagata per abuso d’uficio): “…Paola Muraro mi disse che aveva saputo di essere indagata e che voleva valutare l’opportunità di andare a parlare con il pm per caldeggiare l’archiviazione. Io la sconsigliai. Ricordo di averle detto subito: ‘A Milano queste cose non si fanno’… Al colloquio era presente la sindaca… non si può restare in un luogo di lavoro dove si è avvertiti come una minaccia. Invitai la Raggi a riflettere. Le professionalità in campo non avrebbero avuto problemi nel bypassare personaggi del tutto mediocri: di fatto, però, il duo Marra-Romeo ha continuato a gestire il Campidoglio forte della protezione della Raggi e nell’indifferenza degli altri”.

 

 

Formula Marcello Minenna (settembre 2016)

 

L’economista ed ex assessore al Bilancio della giunta Raggi, dimessosi il primo settembre, ha anteposto la notizia a tutto: “A queste condizioni non posso più restare un solo minuto”. E sulla giunta Raggi ha poi detto di essersi sentito “a disagio di fronte a una scelta non chiara, né trasparente”, come quella della rimozione dell’ex capo di gabinetto Carla Raineri.

 

 

Casi prototipo: Federica Salsi e Giovanni Favia, dicembre 2012

 

Prime espulsioni con grancassa di eletti locali (Comune di Bologna e Regione Emilia-Romagna). Motivazione: reato di partecipazione a talk-show (nel caso della Salsi) e dichiarazioni non allineate in tv e sui giornali (nel caso di Favia). Prima di cacciarli, Grillo ne aveva prefigurato la sorte con video notturno sul blog: “Siamo in guerra, con noi o contro di noi. Chi si fa troppe domande sulla democrazia interna, prego andare… Chi mette in dubbio la nostra onestà… fuori dalle palle”. Diverse le formule-prototipo del commiato dei due espulsi (che a grandi linee poi hanno ispirato i successivi addii di eletti locali e nazionali). Laconico Favia: “Dovevo piangere?”. Fiume in piena Salsi: “…Il dissenso non è concepito all’interno del Movimento. Paradossalmente i partiti, con tutti i disastri che hanno arrecato a questo paese, sono più controllabili dai cittadini di quanto lo siano Grillo e Casaleggio… Nel M5s non emerge un progetto politico ma uno slogan elettorale. Viene il dubbio se non vi sia la volontà solo di aumentare il volume di affari del blog di Beppe. Le persone candidate sono dilettanti allo sbaraglio. Non sono minimamente preparate”.

 

 

Formula Adele Gambaro (giugno 2013)

 

La  senatrice dissidente (poi verdiniana) è stata espulsa dopo voto in Rete (65 per cento dei ventimila votanti) e al termine di una querelle a distanza con Grillo sui risultati delle amministrative di quell’anno, con Gambaro che dichiarava: “…Due comuni andati al M5s non sono un successo, ma una débâcle elettorale con percentuali molto basse…il problema del Movimento è Beppe Grillo”, e con Grillo che sparava la dichiarazione di scomunica sul blog: “La senatrice Gambaro ha rilasciato dichiarazioni false e lesive nei miei confronti, in particolare sulla mia valutazione del Parlamento, danneggiando, oltre alla mia immagine, lo stesso Movimento. Per questo motivo la invito per coerenza a uscire al più presto dal M5S”. Toni dell’addio di Gambaro: melodrammatici, con richiesta di scuse (“Grillo mi ha offeso, sono una signora”) e lacrime trattenute.

 

 

Formula Marino Mastrangeli, aprile 2013

 

Il senatore, espulso dopo processo in streaming per aver violato la regola di partecipazione ai talk-show, si è difeso (a monte del voto di condanna on-line) con l’ormai mitologica frase “sono come Bruce Lee…ne atterro cinquanta alla volta… ma questo processo è una farsa… non è che per cinque anni mettiamo la mordacchia ai parlamentari che non possono parlare… solo in Corea del Nord possono succedere queste cose”.

 

 

Formula Adriano Zaccagnini (giugno 2013)

 

Il deputato, poi transitato da Sel e approdato al Gruppo Misto, si è reso protagonista del primo addio dal M5s con motivazione ideologica in stile “vetero”: “Non è Grillo il problema, ma l’approccio aziendalista del M5S, lo staff di cui si sta fidando. Dopo vent’anni di berlusconismo assistiamo alla nascita del Berlusconi 2.0… non mi sento a mio agio, non riesco a lavorare serenamente. C’è un clima irrespirabile, non ho la forza di continuare a combattere da dentro una guerra intestina che non ha senso… Invece di fare la rivoluzione, continua la strategia del terrore… ”. Zaccagnini sottolineava altresì “l’approccio aziendalista del M5S, organizzazione né democratica né trasparente in cui la strategia politica è calata dall’alto”, e criticava la “visione fantascientifica della realtà” di Gianroberto Casaleggio e il metodo degli ortodossi: “…Ora che la gogna mediatica rischia di ritorcersi contro di loro, lo staff della comunicazione ha pensato bene di fare una pausa dopo settimane di stillicidio. Si giocano la subdola carta della restituzione-diarie. L’unica che riusciranno a rimestare a loro vantaggio. Tuttavia non c’è volontà di pacificare, è solo tattica. La strategia è quella di sbarazzarsi delle ‘mele marce’ e degli indesiderati…”.

 

 

Formula Alessio Tacconi (febbraio 2014)

 

Il deputato, poi passato al Pd, fin dai primi giorni a Montecitorio si è qualificato come dissidente. Stile dell’addio: feroce con aplomb:  “Il M5S”, ha detto in conferenza stampa, “si è rivelato una gigantesca farsa, le promesse fatte in campagne elettorale erano parole al vento, slogan su cui lucrare sulle difficoltà dei cittadini per puro calcolo elettorale. I miei colleghi sono capaci di soffiare sul fuoco del conflitto sociale ma non di prendersi responsabilità”. Precedentemente, Tacconi aveva detto anche di peggio: “…Purtroppo la verità è che siamo diventati una setta di fanatici. Sembriamo il Tempio del Popolo del reverendo Jones”. (riferimento al predicatore statunitense Jim Jones: nel suo “Tempio dei popoli”, il 18 novembre del 1978, si suicidarono 913 persone).

 

 

Formula Bartolomeo Pepe (aprile 2014)

 

Il senatore campano, al termine di un intenso combattimento con il meet-up di Napoli, è passato al Gruppo Misto e poi a Gal, dopo un addio ottimista: “Spero in un nuovo gruppo di ex”.

 

 

Formula Paola Pinna (novembre 2014)

 

La deputata, espulsa come il collega Massimo Artini, ha scelto l’addio lapidario, definendo l’M5s un movimento gestito da una “psicopolizia di talebani”.

 

 

Formula Tommaso Currò (dicembre 2014)

 

Dissidente della primissima ora, il deputato, poi passato al Pd, ha scelto di sbalordire gli attivisti con discorso di commiato addirittura “renziano”: “Da un lato c’è chi si assume la responsabilità di governare il paese e dall’altro chi tenta di risolvere la crisi esclusivamente con atteggiamenti pregiudizievoli per la stabilità delle istituzioni della Repubblica…Voglio sentirmi sereno ed orgoglioso di lavorare per un progetto politico nel quale riconoscermi e attraverso il quale operare. Oggi questa condizione nel M5s non c’è più… C’è chi intende migliorare le regole per un’Europa più equa e più giusta e chi propone alleanze con la destra populista di Farage, predicando una deleteria uscita dall’euro e minando quel processo di integrazione degli stati che ha permesso all’Europa di godere del più lungo periodo storico di pace…”.

 

 

Formula istituzionale (date varie)

 

E’ quella scelta da deputati e senatori che in sordina sono passati al gruppo Misto o ad altri gruppi, motivando il gesto con divergenze politico-programmatiche. Esempi: Alessandro Furnari e Vincenza Labriola, in disaccordo con Grillo sull’Ilva di Taranto, e Lorenzo Battista, senatore espulso dal M5s dopo l’incontro del febbraio 2014 tra Beppe Grillo e Matteo Renzi (consultazioni per la formazione del nuovo governo), definendo il disfattismo dell’ex comico “occasione persa” per il Movimento.

  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.