Filippo Penati (foto LaPresse)

Crolla l'accusa a Penati. Cosa dicono quelli che lo scaricarono?

Redazione

Roberto De Santis e Renato Sarno, l’imprenditore e l’architetto che erano stati indicati come i finanziatori illeciti di Filippo Penati nell’inchiesta sul “sistema Sesto” sono stati assolti con formula piena “perché il fatto non sussiste”. Ma se delle procure disinvolte non ci stupiamo più, torna in mente come Bersani scaricò il compagno di partito per paura del fango.

Roberto De Santis e Renato Sarno, l’imprenditore e l’architetto che erano stati indicati come i finanziatori illeciti di Filippo Penati nell’inchiesta su quello che venne chiamato il “sistema Sesto” sono stati assolti con formula piena “perché il fatto non sussiste” dal tribunale milanese. E’ stata la stessa procura ad ammettere che il teorema secondo il quale l’associazione Fare metropoli, fondata dall’ex presidente della provincia di Milano, non era affatto il paravento di una attività di finanziamento illecito del partito o addirittura il collettore dei frutti della corruzione. Una volta dimostrato che le cose non stavano affatto così, è stata la stessa procura a dover chiedere l’assoluzione degli imputati. Così si conclude l’ultimo atto di una procedura giudiziaria che ha fatto fiasco su tutta la linea, ma che ha causato danni considerevoli agli accusati, poi risultati innocenti. Inutile dire che nessuno pagherà per i suoi errori e che nessuno otterrà un risarcimento.

 

In questo caso, però, oltre al comportamento quantomeno disinvolto delle procure, va preso in esame anche quello dei dirigenti del partito in cui Penati militava, e in particolare quello di Pier Luigi Bersani, che aveva scelto Penati come responsabile della sua campagna nelle primarie, ma poi lo aveva abbandonato al primo tintinnare delle sciabole del giustizialismo. Ora che il castello di carte dell’accusa è crollato miseramente, appare particolarmente desolante la scelta di Bersani di preoccuparsi solo di non ricevere qualche schizzo di fango, pur essendo convinto, come ha detto più volte, dell’innocenza del suo più stretto collaboratore.

 

Non si tratta tanto o soltanto di un giudizio politico, quanto di una considerazione sulla persona, su quella che non si può che considerare una prova di viltà. Quella che i manettari considerano omertà, cioè la difesa aperta dei diritti degli accusati a essere considerati innocenti fino a condanna definitiva, è semplicemente rispetto dei diritti costituzionali e lealtà nei confronti degli amici e dei collaboratori.

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