L'ex presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi (foto LaPresse)

Addio a Carlo Azeglio Ciampi

Redazione

Si è spento a 95 anni l'ex capo dello stato, esempio di serietà, di competenza, di distacco

E' morto a Roma all'età di 95 anni Carlo Azeglio Ciampi. E' stato il primo presidente del Consiglio e finora unico presidente della Repubblica a non aver mai concorso a un’elezione parlamentare, il primo “tecnico” ad assumere un’altissima funzione politica. Come Luigi Einaudi – che però era stato senatore del Regno e deputato della Repubblica, eletto nel 1948 e fu il suo punto di riferimento ideale per tutta la carriera politica –, Ciampi è stato governatore della Banca d’Italia in una fase terribile, sia per l’emergenza economica sia per le persecuzioni giudiziarie che avevano colpito i vertici dell’istituto di emissione, il governatore Paolo Baffi e il suo vice Mario Sarcinelli.

 

Durante la crisi economica dei primi anni Novanta, insieme a Giuliano Amato che presiedeva un governo debolissimo dalla maggioranza indefinita, in un clima devastato dalle inchieste giudiziarie, il governatore Ciampi tentò una difesa dispendiosa e infelice del cambio della Lira, per poi arrendersi all’inevitabile svalutazione. Chiamato da Oscar Luigi Scalfaro, subito dopo, a presiedere un governo tecnico di emergenza, mostrò una imprevista capacità politica, che esercitò in una complessa trattativa con le confederazioni sindacali, che esercitavano allora una specie di supplenza della rappresentanza in conseguenza dello stato comatoso di quella propriamente politica. Ciampi ottenne in sostanza l’abolizione del meccanismo di rivalutazione automatica delle retribuzioni, la scala mobile, convincendo ad accettarla anche al segretario della Cgil Bruno Trentin, che subito dopo aver firmato l’accordo si dimise perché lo considerava il sigillo di una disfatta.

 


 

In ricordo di Carlo Azeglio Ciampi


 

Costretto a lasciare la carica dalla decisione di Achille Occhetto di chiedere elezioni anticipate, nella convinzione di una vittoria certa della sua “gioiosa macchina da guerra”, Ciampi tornò al governo dopo la parentesi del primo governo Berlusconi e di quello del "ribaltone" presieduto da Lamberto Dini, altro alto dirigente della Banca d’Italia, come ministro del Tesoro nel primo esecutivo presieduto da Romano Prodi. Alla caduta di Prodi, determinata dalla secessione dell’ala di Rifondazione comunista guidata da Fausto Bertinotti (anche perché contestava la politica economica di Ciampi volta alla riduzione del debito pubblico per poter entrare nella moneta unica europea), Ciampi si aspettava di essere richiamato a Palazzo Chigi. Visse la scelta di Massimo D’Alema come un atto di slealtà, ma in silenzio. Ne ha parlato solo molti anni dopo, probabilmente perché riteneva prioritario continuare il lavoro di risanamento dei conti pubblici. D’Alema per parte sua inserì il nome di Ciampi nella rosa delle candidature al Quirinale, alla scadenza del mandato di Scalfaro, e Silvio Berlusconi la considerò la più adatta (o la mano dannosa): venne eletto al primo scrutinio con una maggioranza ampia, 707 voti su 1.010. Al Quirinale ebbe la sottile soddisfazione di accettare, dopo pochi mesi dall’insediamento, le dimissioni di D’Alema e di conferire l’incarico a Giuliano Amato, col quale aveva condiviso in Banca d’Italia le responsabilità della svalutazione e della stangata del ’92–’93.

 


Carlo Azeglio Ciampi in Cinquant'anni Rai




La sua presidenza, caratterizzata anche da una rivalutazione dei simboli nazionali, del Risorgimento oltre della Resistenza e dell’inno di Mameli (forse anche in polemica indiretta con le intemperanze leghiste), fu sostanzialmente apprezzata per la discrezione, la correttezza e il senso della misura che rappresentavano un netto miglioramento rispetto alle vicende assai più controverse del precedente settennato di Scalfaro. Sul terreno istituzionale, però, Ciampi ha esercitato una funzione conservatrice, probabilmente legata alla sua formazione giovanile nel Partito d’Azione, che si è espressa in varie occasioni: la più rilevante è stata l’imposizione di un premio di maggioranza regionale e non nazionale nella legge elettorale per il Senato, che ha prodotto fenomeni di ingovernabilità.

 

In complesso però ha rappresentato un esempio di serietà e di competenza, di distacco magari un po’ aristocratico, ma certamente fondato dalle logiche più miopi della partitocrazia, anche di quella della sua parte, e per questo merita di essere ricordato con gratitudine anche da chi ha ragioni per criticare questa o quella delle sue scelte di merito.

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