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Italicum o no, solo il maggioritario può garantire governabilità all'Italia

Rocco Todero
Fra meno di un mese la Corte Costituzionale sarà chiamata a giudicare della legittimità della legge elettorale. Appunti per non perdere di vista ciò che bisogna salvare

Nel 1912 Gaetano Mosca, a proposito della rappresentanza parlamentare definita dai sistemi elettorali maggioritari, faceva notare come “si trova ingiusto che la minoranza abbia una rappresentanza inferiore alla sua importanza numerica, ma nessuno si domanda quale sia la missione della maggioranza e quale quella della minoranza nelle assemblee politiche”.
Qualche tempo prima Walter Bagehot (che del costituzionalismo inglese fu interprete acuto e unanimemente apprezzato) aveva chiarito la reale natura della forma di governo parlamentare osservando come nonostante la sua fede liberale non avesse mancato di trovare espressione per più di vent’anni nella contea agricola dove votava regolarmente, quello stesso collegio eleggeva da sempre due tories rendendo così il suo voto di nessuna utilità perché privo di alcuna rappresentanza. Poco male, aggiungeva però subito dopo lo scrittore inglese, poiché nel sistema parlamentare non è al singolo voto che occorre riconoscere utilità quanto a quelli che rafforzano la maggioranza capace di far funzionare governo e Parlamento.
Giorgio Rebuffa, professore ordinario di sociologia del diritto, nel 1995 ha spiegato egregiamente in un saggio uscito per il Mulino (La Costituzione Impossibile) le premesse e le implicazioni di questo filone di pensiero dimostrando come una certa idea della forma di governo parlamentare abbia da sempre rappresentato in Italia un’invalicabile ostacolo alla costruzione di maggioranze politiche stabili e di compagini governative sufficientemente solide.

 

Secondo Rebuffa, il Parlamento italiano è stato da sempre considerato dai partiti politici e dalla dottrina costituzionale luogo di rappresentanza delle articolazioni politiche della società italiana anziché (come invece è sempre accaduto in Inghilterra ed in tutti i regimi autenticamente parlamentari) comitato di controllo del governo quale organo esecutivo quest'ultimo capace di portare a compimento un indirizzo politico espressione di un programma elettorale condiviso dagli elettori.

 

Il sistema elettorale proporzionale ha rappresentato per decenni in quest’ottica il presupposto ed al tempo stesso il corollario ineliminabile di un sistema costituzionale che ha individuato nel Parlamento l’organo capace di rispecchiare fedelmente la geografia politica italiana sin nei minimi dettagli per consentire quello che è risultato alla lunga un esercizio malfermo e per di più consociativo del potere legislativo. Ciascun elettore ha potuto vantare così la presenza della propria rappresentanza in Parlamento quale che fosse la sua opinione, a discapito, tuttavia, dell'esatta individuazione delle responsabilità di governo e di un maggioranza parlamentare capace di controllare l’esecuzione del programma legislativo che dovrebbe essere legittimamente promosso dal governo in primo luogo.

 

L’analisi sin qui rappresentata conduce Rebuffa a preferire, sulla base di argomentazioni tutte ampiamente condivisibili, i sistemi elettorali maggioritari a quelli proporzionali, al netto delle specificità dei singoli sistemi politici nazionali.

 

D’altronde anche il professor Giovanni Sartori, che nello stesso periodo ha pubblicato un saggio (Ingegneria costituzionale comparata, Il Mulino) nel quale ha messo in guardia dall’idea di considerare l’essenza della politica democratica il solo governo rappresentativo e non anche il buon governo, è pervenuto alle medesime conclusioni.

 

Per Sartori "...la democrazia esige un buon governo (responsabile) tanto quanto un governo rispondente e i due elementi non possono essere disgiunti”.

 

Ancora una volta sono i sistemi elettorali maggioritari quelli in grado di fornire le rassicurazioni necessarie anche perché l’applicazione delle leggi proporzionali all’interno di sistemi politici particolarmente polarizzati (come sono quello italiano e spagnolo in questo momento) potrebbe condurre alla paralisi del sistema istituzionale.

 

Le varie articolazioni del sistema maggioritario a doppio turno invece permetterebbero secondo Sartori di raggiungere un adeguato equilibrio fra le esigenze della rappresentanze e quelle della governabilità considerato per di più che “ …mentre qualsiasi sistema elettorale inteso a contenere la proliferazione dei partiti deve in qualche modo comprimere le scelte dell’elettore, il doppio turno trasforma una coercizione in una scelta intelligente”.

 

Nè è possibile ritenere fondati i timori relativi all’eccessivo carattere conflittuale che originerebbe dalla gestione del potere attribuito da un sistema maggioritario, poiché, conclude Sartori, “ il principio maggioritario è, e deve essere, formulato così: che la volontà della maggioranza è legittimata a prevalere entro i limiti del rispetto dei diritti della minoranza…..Se così non fosse sarebbe la democrazia ad auto distruggersi”.

 

Fra meno di un mese la Corte costituzionale sarà chiamata a giudicare della legittimità della legge elettorale denominata Italicum con particolare riguardo al meccanismo del doppio turno al quale le prime due liste accederebbero (questa la censura di costituzionalità) senza l’obbligo di conseguire alcuna soglia minima di suffragi al primo turno per assicurare un adeguato livello di rappresentatività. Il Presidente emerito della Repubblica Giorgio Napolitano ha manifestato perplessità sull'opportunità di applicare l'attuale legge elettorale alla luce del mutato quadro politico che vede oggi ben tre schieramenti contendersi il consenso dei cittadini. Il Presidente del Consiglio Matteo Renzi,infine,  negli ultimi giorni ha ribadito che l'Italicum potrebbe essere superato per via parlamentare indipendentemente dall'esito del giudizio di legittimità costituzionale. Quali che saranno gli esiti della decisione della Consulta e del dibattito politico attorno alla legge elettorale, non pare possibile che i giudici costituzionali e i parlamentari che dovessero essere chiamati ad approvare un nuovo provvedimento legislativo possano a cuor leggero sottovalutare l’inestricabile necessario legame che deve sussistere tra le esigenze della rappresentanza e quelle dell’efficacia e dell’efficienza dei moderni sistemi decisionali. A meno di non voler tornare ad alimentare una forma di parlamentarismo davvero sui generis.

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