Beppe Grillo (foto LaPresse)

Golpetti no grazie

Claudio Cerasa
Provate a chiedere a un qualsiasi giudice della Corte costituzionale che cosa sta succedendo in queste ore e che tipo di pressione stanno ricevendo i membri della Consulta rispetto a una sentenza importante come quella che verrà depositata il prossimo 4 ottobre.

Provate a chiedere a chiunque di loro. Provate a chiedere a Giulio Prosperetti, ad Augusto Barbera, a Franco Modugno, a Silvana Sciarra, a Nicolò Zanon, a Daria de Pretis, a Giuliano Amato, a Giancarlo Coraggio, a Mario Rosario Morelli, a Marta Cartabia, ad Aldo Carosi, a Giorgio Lattanzi, a Paolo Grossi, ad Alessandro Criscuolo, a Giuseppe Frigo. Provate a chiedere a un qualsiasi giudice della Corte costituzionale che cosa sta succedendo in queste ore e che tipo di pressione stanno ricevendo i membri della Consulta rispetto a una sentenza importante come quella che verrà depositata il prossimo 4 ottobre. Quando la Corte, presieduta da Paolo Grossi, si esprimerà sulla legittimità costituzionale di una legge elettorale (l’Italicum) entrata in vigore esattamente due mesi fa (il primo luglio 2016). Provate a chiedere a ciascuno di loro che tipo di pressione stanno ricevendo in queste ore e la risposta a questa domanda sarà la stessa quasi per tutti: stop il ballottaggio, now.

 

Martedì sera a Catania, durante la festa del Pd, subito dopo il dibattito con Paolo Gentiloni, Massimo D’Alema lo ha sussurrato con un ghigno fatto di preoccupazione e di speranza: io confido nella Corte. E’ un auspicio, quello dell’ex presidente del Consiglio, che coincide però con un desiderio preciso e diffuso in un pezzo importante dell’establishment politico italiano. Un desiderio – manifestato esplicitamente anche su questo giornale da Giorgio Napolitano, che da presidente della Repubblica ha nominato quattro degli attuali quindici membri della Consulta (Amato, Zanon, De Pretis, Cartabia) – che tradotto politicamente suona più o meno così: è necessario eliminare il doppio turno dalla legge elettorale per evitare di regalare il paese al Movimento 5 stelle. Quella che però potrebbe apparire come una questione di carattere squisitamente politico (via il doppio turno per non far vincere Grillo) sta diventando una questione molto più delicata che a poco a poco comincia a far breccia anche all’interno della Corte costituzionale. L’orientamento futuro dei membri della Consulta è impossibile da prevedere ma ciò che invece si può affermare è un fatto difficilmente incontestabile: all’interno della Corte costituzionale sta maturando la tentazione di dare una copertura giuridica a una precisa esigenza politica. E l’esigenza politica, in questo caso, è facile da spiegare: se il doppio turno, come avrebbero dimostrato le elezioni comunali (19 ballottaggi su 20 vinti dal 5 stelle contro il Pd), rischia di favorire i grillini, o più in generale rischia di consegnare il paese a un leader solo al comando, è necessario intervenire per mettere al riparo la stabilità democratica del nostro paese. La copertura giuridica all’esigenza politica esiste già e coincide con una linea che in queste ore si sta sempre di più rafforzando: utilizzare un passaggio preciso della sentenza numero uno del 2014, sentenza che dichiarò incostituzionale la legge Calderoli, e applicare quel passaggio alla legge Boschi/Renzi. Il passaggio è tecnico ma vale la pena di essere approfondito. Paragrafo 3.1. “Qualora il legislatore adotti il sistema proporzionale, anche solo in modo parziale, esso genera nell’elettore la legittima aspettativa che non si determini uno squilibrio sugli effetti del voto, e cioè una diseguale valutazione del ‘peso’ del voto ‘in uscita’, ai fini dell’attribuzione dei seggi, che non sia necessaria ad evitare un pregiudizio per la funzionalità dell’organo parlamentare”. Proviamo a capire cosa significa concretamente.

 


Una riunione della Corte Costituzionale (foto LaPresse)


 

Il succo della questione è il seguente: in presenza di un sistema con base proporzionale, come era la legge Calderoli e come è la legge Boschi/Renzi, la Corte impone di non correggere quel sistema con un premio di maggioranza eccessivamente squilibrato. Nel caso dell’Italicum, è questa la tesi di chi chiede di rivedere la legge elettorale,  il vizio di costituzionalità coinciderebbe con questo problema: si regalerebbe il 54 per cento dei seggi anche a chi ha preso il 25 per cento dei voti al primo turno (se nessuna lista prende il 40 per cento al primo turno, l’Italicum prevede un ballottaggio per le prime due liste, a prescindere dalle percentuali prese al primo turno).

 

Dal punto di vista costituzionale è una tesi difficile da sostenere quella della non costituzionalità del doppio turno, considerando anche il fatto che il ballottaggio non è stato inventato con l’Italicum ma esiste già per l’elezione di alcuni governatori di regione (Toscana) e per tutti i sindaci delle città con più di 15 mila abitanti (nel 2014 la stessa Corte costituzionale, con una sentenza firmata da Giuliano Amato, è intervenuta sulla legittimità costituzionale del premio di maggioranza nei comuni del Trentino, precisando che il ballottaggio non presenta alcun rilievo di costituzionalità, in quanto “Il meccanismo di attribuzione del premio e la conseguente alterazione della rappresentanza non sono pertanto irragionevoli, ma sono funzionali alle esigenze di governabilità dell’ente locale, che nel turno di ballottaggio vengono più fortemente in rilievo”). A questi ragionamenti se ne potrebbero aggiungere molti altri (e ai membri della Consulta non sarà sfuggito il fatto che laddove c’è il tripolarismo, come in Spagna, i governi rischiano proprio di non formarsi, senza un doppio turno). Ma più che concentrarsi sul dettaglio è utile concentrarsi sulla sostanza. E la sostanza ci dice questo. Se il problema è il tripolarismo, è un problema che non esiste: nel senso che il tripolarismo non esiste da oggi ma esisteva già dal 2013, e fu proprio per combattere il tripolarismo che nel 2013, all’interno della commissione dei saggi voluta da Giorgio Napolitano dopo lo stallo post elettorale, fu ipotizzata una legge elettorale a doppio turno. Se il tema invece è fermare Grillo, o è fermare l’uomo solo al comando, si tratta di un tema molto delicato da affrontare e persino molto rischioso: davvero la Corte costituzionale è disposta a utilizzare la Costituzione per raggiungere un obiettivo politico barattando la governabilità con la sindrome del tiranno? Se invece il tema dovesse essere la paura di Grillo suggeriamo ai membri della Consulta di non preoccuparsi troppo. Per fermare la corsa dei Cinque stelle non serve un golpe costituzionale. I Cinque stelle la corsa se la fermeranno da soli, in mezzo a molti Raggi di sole. La tentazione però esiste. E’ concreta. E’ una possibilità vera. E per far morire il ballottaggio dell’Italicum basterebbe poco. Basterebbe dare una copertura giuridica a un’esigenza politica. Basterebbe, per esempio, che, in nome della necessità di non avere governi troppo forti, ci fosse un’unione di intenti tra cinque magistrati che fanno parte della Consulta e almeno tre giudici laici. La partita è aperta ma la tentazione oggi c’è.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.