Joseph Muscat con Matteo Renzi (foto LaPresse)

L'isola che non c'è della sinistra

Claudio Cerasa
In Europa c’è un giovane premier di sinistra che sta rottamando i tabù del suo partito facendo crescere l’economia a una velocità da record e con una ricetta semplice: giù le tasse. Intervista a Joseph Muscat, premier maltese.

In Europa c’è un giovane politico di sinistra che ha rotto alcuni tabù culturali del suo universo di riferimento, che ha cambiato in modo drastico il codice genetico del suo partito, che ha portato alla vittoria un partito che non vinceva mai e che nel giro di pochi mesi, senza dover neppure rinunciare al ruolo di segretario del suo partito, rubando alla destra alcune parole chiave della sua agenda economica, ha dimostrato che il modo migliore per far crescere il proprio paese, e combattere la disoccupazione, non passa dall’aumento della spesa pubblica o dall’elemosina per avere un mezzo decimale in più di deficit dall’Europa ma passa da una scelta semplice, grazie alla quale il paese governato da questo giovane politico è riuscito a diventare il paese con la disoccupazione più bassa d’Europa (5,7) e quello con la crescita tra le più alte del continente (6,3 nel 2015, meglio ha fatto solo l’Irlanda con +7,8).

 

Il giovane politico di sinistra che ha rotto alcuni tabù culturali del suo universo di riferimento rubando idee alla destra e sostituendo la politica più tasse e più spesa per tutti con la politica del meno spesa e meno tasse per tutti si chiama Joseph Muscat: è nato il 22 gennaio 1974, è leader del Partito laburista del suo paese dal giugno del 2008 e dal 9 marzo del 2013 è il primo ministro di Malta. Malta è un paese che ha più o meno gli stessi abitanti di Bologna (390 mila Bologna, 427 mila Malta) e ha dimensioni non paragonabili a nessun grande paese europeo (316 km quadrati, più o meno come l’Isola d’Elba e Lipari messe insieme). Eppure, nella storia di Joseph Muscat esiste un tratto significativo che accomuna il tentativo di alcune sinistre europee di archiviare i tabù del passato e adattare i propri modelli culturali a un mondo in cui, dice Muscat, non c’è altra strada per crescere se non quella di far propri i princìpi basilari del mercato aperto.

 

“Non ho la presunzione di voler insegnare niente a nessuno e non penso neppure di aver inventato la ruota. Mi limito a osservare il mondo che ci circonda: il modello utilizzato per anni dalla sinistra in Europa non ha funzionato e se si vuole imporre nei propri paesi un nuovo modello di sinistra bisogna azzerare tutto, mettere da parte i pregiudizi e ragionare senza schemi ideologici ma solo con il buon senso. E il buon senso oggi ci dice questo: non ha senso parlare in modo generico di uguaglianza e dire che bisogna redistribuire il reddito se non c’è alcun reddito da distribuire. La retorica dell’uguaglianza è un concetto futile, volatile, vuoto. Prima bisogna sforzarsi di far crescere un paese e poi si può pensare a come distribuire il reddito”.

 

E come si fa? “Solo in un modo: abbassando le tasse e portando avanti riforme pro mercato”. Muscat, parlando in un italiano perfetto imparato “grazie a Berlusconi e al segnale delle sue televisioni che arrivava a Malta ben prima dei canali satellitari”, fa qualche esempio. “La prima riforma che ho fatto e che ha portato frutti insperati ha riguardato il mercato dell’energia. Fino a qualche anno fa nel nostro paese l’energia funzionava con metodi tradizionali: se ne occupava lo stato e chiunque dicesse che quel settore doveva essere maggiormente aperto ai privati veniva linciato. Oggi abbiamo cambiato metodo: abbiamo dato in concessione ad aziende private il mercato energetico per un tempo limitato, abbiamo reso il settore più efficiente e con i soldi incassati dalla concessione abbiamo diminuito del 25 per cento le bollette per tutti. La seconda mossa – continua Muscat – è stata quella più importante. Abbiamo tagliato le tasse e in particolare abbiamo tagliato di sette punti la nostra aliquota più alta portandola dal 32 per cento al 25 per cento”.

 

I ricchi non devono piangere? “Bisogna combattere la povertà, non la ricchezza. Ma bisogna farlo senza retorica. Per questo quando ho scelto di tagliare le tasse ai più benestanti ho voluto anche esentare le persone più povere dal pagare le tasse. In molti mi hanno detto che sarebbe stato un suicidio e che i soldi incassati dallo stato sarebbero diminuiti. E invece è successo il contrario: abbiamo aumentato il gettito proprio quando abbiamo diminuito le tasse. Abbiamo dimostrato che il miglior modo per combattere l’evasione fiscale è quello di rendere più conveniente pagare le tasse e più rischioso non pagarle”.

 

In un discorso fatto proprio a Malta alla fine dello scorso anno, il governatore della Banca centrale Mario Draghi ha elogiato “le riforme strutturali che hanno permesso all’economia di tornare a crescere a un buon ritmo”, soffermandosi brevemente sui nuovi sistemi procedurali utilizzati dal governo Muscat per ridurre la burocrazia e i ritardi nelle cause civili. Muscat riconosce che uno degli elementi di forza del suo paese è proprio la facilità con cui si possono aprire aziende in regola sì con le normative Ue ma con minori spese gestionali. Due giorni fa, anche grazie alle condizioni favorevoli che offre la legislazione maltese, il primo ministro ha presentato in conferenza stampa una partnership da 7,5 milioni di sterline con l’Azimut-Benetti, azienda italiana leader nei superyacht. L’Azimut-Benetti ha ricevuto in concessione per venticinque anni un porticciolo a La Valletta che sarà in grado di far attraccare yacht di 28 metri nel nuovo porto turistico e il presidente di Azimut-Benetti, Paolo Vitelli, ha ricordato tempo fa in un’intervista alla Stampa la differenza di approccio tra il sistema italiano e quello maltese: per raddoppiare gli spazi coperti in un cantiere di Livorno per far fronte ai nuovi ordini ci sono voluti dodici anni, per acquistare un porto a Malta ci sono voluti meno di ventiquattro mesi.

 

“Ho sempre pensato – continua Muscat – che la globalizzazione sia come un tapis roulant: per non cadere, devi andare veloce, devi avere i muscoli sempre tonici; se poi scegli di cadere, se scegli di scendere giù dal tapis roulant, non avrai più dolori ai muscoli, ma comincerai anche ad andare sempre più lento, a perdere colpi, a restare indietro e a tenere il tuo paese lontano dal resto del mondo. Per questo penso che il modo migliore per correre sul tappeto della globalizzazione sia quello di aprire sempre di più i nostri paesi al mercato. Per farlo però bisogna avere le gambe libere e non appesantite. E il miglior modo per liberare energie oggi è rimuovere gli ostacoli generati da una burocrazia appesantita. Non servono necessariamente le leggi, serve un approccio diverso. Serve premiare non solo chi segue le procedure corrette ma anche chi prende le decisioni. Il messaggio che ho scelto di dare ai dipendenti della nostra Pubblica amministrazione è questo: preferisco che voi sbagliate prendendo una decisione piuttosto che non sbagliate mai senza prendere nessuna decisione”. 

 

Il tutto, dice ancora Muscat, senza dover necessariamente trovare nuove risorse attingendo dalla spesa pubblica. “Sono contro il partito del tassa e spendi e credo sia proprio declinando questo modello che siamo riusciti a portare il deficit del nostro paese dal 4,2 per cento nel rapporto con il pil all’1,6 per cento. Stesso discorso per il debito pubblico: siamo passati dal 73 per cento al 68 per cento. I nuovi soldi li troviamo semplicemente facendo girare l’economia, ridando fiducia, stimolando i consumi, attraendo nuovi capitali dall’esterno. Mi dicono spesso che sono di destra, sull’economia, ma quando me lo dicono rispondo sempre allo stesso modo: sono socialmente di sinistra, ma economicamente di destra e credo che una sinistra moderna debba abbracciare il mercato provando a regolarlo in modo sociale. Pensare che si possano cambiare i paesi seguendo un’ottica antagonista è un’utopia che alimenta illusioni. Vi faccio un esempio concreto. Io sono contrario al principio del sussidio per tutti.

 

Credo ci siano altri metodi di welfare che possono tutelare le persone meno abbienti dando però a queste la possibilità di lavorare. Qui a Malta abbiamo dato gli asili gratis alle coppie che lavorano e ai genitori single: è stato uno sforzo ma siamo stati ripagati con più lavoro e più produzione e più consumi. Abbiamo offerto un canale preferenziale fiscale, sotto forma di sgravio, per le donne intenzionate a entrare nel mercato del lavoro: è stato uno sforzo ma anche qui siamo stati premiati. Ci siamo poi accorti che tutto questo non bastava perché molte persone che avevano un sussidio di disoccupazione spesso preferivano tenersi il proprio sussidio piuttosto che tornare a lavorare con uno stipendio basso.

 

Per risolvere questo problema e far girare ancora di più l’economia abbiamo sperimentato e abbiamo scelto di lasciare una parte di quel sussidio alle persone più in difficoltà per un periodo non superiore ai tre anni a condizione che quelle persone trovassero un lavoro, pagando ovviamente le tasse sul reddito di quel nuovo lavoro. In questo modo abbiamo fatto girare l’economia e abbiamo fatto entrare nuovi soldi nelle casse dello stato. In tutto, dal 2013 a oggi, abbiamo tagliato del 40 per cento il numero di maltesi che vivevano solo di benefit sociali, facendo aumentare contestualmente del 14 per cento il reddito del ceto medio, che è stato naturalmente agevolato dall’economia che si è rimessa in moto”. Nel resto d’Europa, conclude il premier maltese, ci sono molti modelli di sinistra all’avanguardia sui diritti civili e sui diritti sociali ma ci sono molte sinistre che scambiano ancora le politiche di buon senso per politiche di destra solo perché nel passato quelle idee “di destra” sono state osteggiate dalla sinistra.

 

“Penso alle politiche economiche ma penso anche alle politiche sulla sicurezza. Non mi stupisce che in giro per l’Europa ci siano molti feudi della sinistra che sono stati conquistati da partiti di estrema destra. Credo che questo sarà un trend inevitabile nel futuro se la sinistra continuerà a spaventare gli elettori dicendo che i muri non si possono alzare e che tutti dobbiamo essere pronti ad accogliere lo straniero. In linea di principio è giusto. Ma quando dici che non vuoi alzare muri devi poi dimostrare che conosci il problema, che sai bene che l’immigrazione è un fenomeno inevitabile, certo, ma non per questo da accettare a tutti i costi. Servono dei limiti. Bisogna aumentare i controlli. Non bisogna abbattere i muri cancellando i confini. Bisogna essere pragmatici e renderci conto che ciò che distrugge l’identità delle sinistre europee non è il tapis roulant della globalizzazione ma è l’ipocrisia progressista del politicamente corretto”.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.