Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella (foto LaPresse)

Mattarella e il linguaggio della verità sul terrorismo-nazismo. Un elogio. Con notizia

Claudio Cerasa
I quattro passaggi in cui il presidente della Repubblica ha dribblato il politicamente corretto sulla minaccia dell'estremismo islamico.

Qualcuno ci gira intorno, usando parole soffici ed espressioni vellutate. Qualcun altro fa finta di non vedere, usando perifrasi vaghe e definizioni sconclusionate. Qualcun altro ancora prova a negare il problema, dicendo che le guerre di religione non esistono, dicendo che l’Islam è solo una religione di pace, dicendo che i terroristi sono solo pazzi omicidi, dicendo che i lupi solitari sono solo dei poveri squilibrati, dicendo, persino, che quella che è in corso non è una guerra, per carità, ma è qualcosa di diverso, di più episodico, di meno strutturato, perché non bisogna generalizzare, non bisogna diffondere paura, non bisogna provocare, non bisogna alimentare le fobie. “Io non uso la parola guerra”, ha detto una settimana fa Matteo Renzi in un’intervista a Repubblica. “Questa non è una guerra di religione”, ha ribadito la scorsa settimana Papa Francesco. Soffici e vellutati.

 

In questa palude di grandi verità negate e di problemi nascosti sotto il tappeto del politicamente corretto c’è un’eccezione importante di un politico italiano, di cultura progressista, che quando parla di terrorismo, di islamismo, di religione e di guerra non si nasconde dietro lo scudo dell’islamicamente corretto e affronta, in pubblico e soprattutto in privato, il tema della terza guerra mondiale usando un linguaggio esplicito, diretto, sincero, simile a quello adottato in Francia dal premier Manuel Valls.

 

Quello che segue è un elogio di Sergio Mattarella che si basa su una piccola ricostruzione delle frasi usate dal presidente della Repubblica per fotografare la fase storica vissuta anche dal nostro paese. Da quando è arrivato al Quirinale, Sergio Mattarella ha scelto di utilizzare un passo felpato e un profilo defilato, limitandosi a lasciare sul terreno di gioco della politica solo alcuni sassolini, utili a mostrare qua e là il percorso scelto dalla presidenza della Repubblica. Il tono di Mattarella assume però un timbro diverso quando si parla di terrorismo e se il Capo dello Stato, creando scandalo tra i suoi interlocutori, in privato arriva a dire che “lo Stato Islamico è il nazismo del nostro secolo” bisogna mettere insieme i vari sassolini che hanno portato il presidente della Repubblica a usare, sulla jihad, il linguaggio della verità. Quattro passaggi.

 

Il primo è datato 31 gennaio 2015 e in quell’occasione, appena eletto, Mattarella visitò le Fosse Ardeatine e lanciò il primo sassolino: “L’alleanza tra nazioni e popolo seppe battere l’odio nazista, razzista, antisemita e totalitario di cui questo luogo è simbolo doloroso e la stessa unità in Europa e nel mondo saprà battere chi vuole trascinarci in una nuova stagione di terrore”. Il terrorismo che viviamo oggi, in sostanza, è una forma di totalitarismo non troppo diversa da quella vissuta in epoca nazista; e contro quel totalitarismo occorre un’unità speciale che permetta all’occidente di affrontarlo senza tentennamenti. Il secondo sassolino è datato 3 febbraio 2015. E’ il giorno del discorso di insediamento e in quell’occasione il presidente della Repubblica abbandona il suo passo felpato e chiama le cose con il loro nome. Spiegando, attraverso il ricordo di Stefano Taché, il bambino di otto anni rimasto ucciso nel vile attacco terroristico alla Sinagoga di Roma nell’ottobre del 1982, che la condizione vissuta oggi dall’Italia e dall’Europa è simile a quella che vive da anni uno stato da cui dobbiamo imparare molto: Israele. Passano pochi mesi e dopo la strage del Bataclan, a Parigi, il presidente scrive al Foglio una lettera importante, il 21 novembre, in cui definisce la strategia dei terroristi “folle e lucida allo stesso tempo” e in cui riconosce la natura religiosa della guerra lanciata dallo Stato Islamico. “La persecuzione a carattere religioso non è mai a sé stante, ma è parte della violazione, feroce e sistematica, delle libertà fondamentali dell’uomo… il fondamentalismo e il radicalismo di matrice islamista, esplosi di recente e alimentati all’interno di vaste regioni dell’Africa e del Medioriente, hanno tragicamente accresciuto le dimensioni di questa vera e propria emergenza  planetaria”. Stesso discorso durante il messaggio di fine anno. Quando, senza forzare troppo la mano, chiama le cose con il loro nome e sceglie, di fronte a milioni di italiani, di non nascondere gli aggettivi e di definire il terrorismo per quello che è: “Agli altri Paesi dell’Unione Europea abbiamo proposto di aumentare la collaborazione e di porre sollecitamente in comune risorse, capacità operative, conoscenze e informazioni per meglio contrastare e sconfiggere il terrorismo di matrice islamista”.

 

Chiamare le cose con il loro nome, come sa bene il premier Manuel Valls, non è sufficiente per sconfiggere il terrorismo islamico. Ma inquadrare la realtà senza negare l’evidenza, e dribblando persino il politicamente corretto, è una condizione necessaria per reagire e non voltarci dall’altra parte di fronte al totalitarismo del nostro secolo. E i sassolini del Capo dello Stato ci dicono, giustamente, che di fronte al nuovo nazismo non si può restare immobili, nascondendo i problemi sotto il tappeto del politicamente corretto.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.