L'aula del Senato (foto LaPresse)

Giochetti di tortura

Maurizio Crippa

Non siamo il paese del waterboarding, in Italia i “trattamenti crudeli” sono altri. Ma non è “umiliante”, per uno stato di diritto, introdurre il reato. E’ umiliante rinviare una legge sine die, per piccoli conti politici.

Perfino un fiero anti-garantista come Gian Marco Centinaio, capogruppo della Lega in Senato, potrebbe convenire che l’Italia non è un paese votato al waterboarding, non pratica la tortura sistematica per estorcere informazioni agli islamisti, ha chiuso da decenni le “ville tristi” di saloina memoria. Quando Centinaio (e con lui i senatori del centrodestra) dichiara che “non ci sarà alcuna umiliazione per le forze dell’ordine che potranno continuare a lavorare con onestà e tranquillità così come hanno fatto finora”, dovrebbe sapere di che cosa parla. Esiste una convenzione delle Nazioni Unite contro “la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti” che il nostro paese ha ratificato nel 1988. E’ una questione di civiltà, non di umiliazione delle forze dell’ordine. Ma l’Italia non si è mai dotata di una legge specifica in materia.

 

Martedì 19 luglio il Senato ha deciso di sospendere, al momento sine die, il ddl che introduce il reato di tortura e che era già stato approvato dalla Camera nel 2015. Poiché l’Italia è uno stato di diritto, formalizzare un reato di questo genere pertiene alla civiltà giuridica. Ma ha anche un altro significato, simbolico e pratico. Significa riconoscere che, in quanto stato di diritto, l’Italia, le sue forze dell’ordine e i suoi pubblici ufficiali non sottopongono in nessun caso e per nessun motivo i propri cittadini a trattamenti “inumani”. Né in modo episodico né in modo “reiterato”, per usare il termine che il ministro dell’Interno Alfano e Forza Italia hanno chiesto venga introdotto nel testo.. E’ chiaro, e lo sappiamo, che i deputati votarono il ddl lo scorso anno anche sotto la pressione emotiva della condanna da parte della Corte europea dei diritti umani di Strasburgo per i fatti della scuola Diaz di Genova. E che la contrarietà di un parte delle forze dell’ordine e del mondo politico alla legge prende spunto da quelle arcinote polemiche. Ma sappiamo anche che casi di “trattamenti crudeli” avvengono e sono avvenuti, in Italia. E questa è la vera umiliazione per lo stato. C’è poi un’aggravante. Il pasticcio di martedì – cui è sperabile si trovi rimedio, anche perché il governo e il Pd si erano fortemente impegnati a varare la legge – nasce da infimi giochi di convenienza politica. Tra i quali l’interesse del ministro dell’Interno Angelino Alfano a non scontentare le forze di polizia, che ha fatto cambiare idea a qualche senatore centrista, mettendo in difficoltà il governo. Non meritiamo la tortura, e nemmeno questi giochetti.

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"