Altro che Turchia. Così i pm italiani hanno sventato un golpe da osteria

Luciano Capone
Dopo oltre due anni di indagini, pedinamenti, intercettazioni, con un blitz dei carabinieri del Ros i pm bresciani avevano individuato un'associazione sovversiva diretta “a costringere i legittimi poteri pubblici ad acconsentire all’indipendenza del Veneto e di altre regioni del nord Italia".

Roma. Tutti a parlare del golpe dei militari turchi e del contro golpe di Erdogan, dei precedenti storici riusciti e falliti, ma nessuno ricorda il colpo di stato da osteria sventato solo pochi anni fa in Italia. Si tratta della più grande operazione anti terrorismo dai tempi delle Brigate Rosse, frutto dell’intenso lavoro della procura di Brescia che nel 2014 ha indagato oltre 50 secessionisti veneti, arrestandone 26, con l’accusa di terrorismo, eversione dell’ordine democratico e fabbricazione di armi da guerra. Altro che Isis e al Qaeda, roba seria. Dopo oltre due anni di indagini, pedinamenti, intercettazioni telefoniche e ambientali, con un blitz dei carabinieri del Ros i pm bresciani avevano individuato una temibile associazione sovversiva diretta “a costringere i legittimi poteri pubblici ad acconsentire all’indipendenza del Veneto e di altre regioni del nord Italia, così da determinare lo scioglimento dell’unità dello stato” e quindi con “finalità di terrorismo e di eversione dell’ordine democratico” attraverso l’utilizzo di “un carro armato ed esplosivi”. Tra gli indagati c’erano alcuni nomi eccellenti, come quello del fondatore della Liga veneta, Franco Rocchetta, che poi ha ricevuto la solidarietà anche degli avversari politici, e alcuni superstiti dell’occupazione del 1997 col tanko in piazza San Marco.

 


Franco Rocchetta


 

I nuovi Serenissimi, tra una polenta e un bicchiere di vino di troppo, parlavano di armi in arrivo ma mai trovate, di contatti mai provati con primi ministri stranieri, di ambasciate all’estero, dell’abbattimento di una statua di Garibaldi chissà dove e dell’ennesima occupazione di piazza San Marco con un nuovo tanko, costruito appositamente in un capannone in provincia di Padova. Dalle intercettazioni, dal contesto e dai pochi riscontri è apparso evidente a molti che ci si trovava di fronte a quello che è poi stato definito un “golpe di mona”, ma non per i magistrati. I pm bresciani sono tutt’ora convinti che questa associazione battezzata “l’Alleanza” sia effettivamente un’organizzazione terroristica in grado si smembrare lo stato. Un’ipotesi difficile da sostenere in giudizio, visto che nel precedente più simile, quello del teorema Papalia contro i Serenissimi del primo tanko, le accuse di banda armata, terrorismo ed eversione dell’ordine democratico erano cadute in Cassazione, nonostante i separatisti avessero realmente occupato piazza San Marco e il campanile.

 

In questo caso i “terroristi venetisti” non hanno neppure fatto un’azione dimostrativa e il presunto “carro armato da guerra”, chiuso in un capannone, non è altro che una ruspa agricola non in grado di superare gli 8 chilometri orari dotata di un cannoncino artigianale incapace di sparare. In pratica sono dei trattoristi più che dei terroristi, che – in una specie di remake di “Vogliamo i colonnelli” di Monicelli – ipotizzavano di attraversare da parte a parte una sede di Equitalia con la ruspa, andavano a sbattere con il tanko contro il pilastro del capannone, si confidavano al telefono di non capire le lezioni di storia veneta dell’“ideologo” Franco Rocchetta, ricordando i camerati di Monicelli che ascoltavano gli incomprensibili discorsi del colonnello greco Automatikos.

 

Le accuse della procura di Brescia sono già state demolite dal tribunale del Riesame, che ha scarcerato tutti i venetisti ponendo gravi pregiudiziali sulla consistenza delle prove e dell’indagine in generale. La decisione del Riesame è stata confermata anche dalla Cassazione, che ha dichiarato inammissibile il ricorso dei pm. Neppure questo ha fatto desistere la procura: il procedimento va avanti e il 30 settembre il gup dovrà decidere cosa fare dei 48 presunti golpisti da osteria. Ma non basta, perché parallelo corre il troncone sul presunto carro armato, che per competenza territoriale è stato spostato a Rovigo, dove diverse persone sono indagate per costruzione e detenzione di arma da guerra.

 

Ebbene, sul tema il gip ha chiesto una consulenza agli esperti del Ris che, dopo una accurata perizia balistica, hanno confermato che la ruspa è una ruspa e non un carro armato, in quanto con quel cannoncino non sarebbe in grado di rompere un vetro. Quindi la vicenda, iniziata ormai quattro anni fa con un dispiego enorme di uomini e risorse, è ancora aperta e potrebbe durare a lungo se il gup dovesse ritenere fondate le imputazioni. Ci vorrà ancora tempo per scoprire se ci siamo trovati di fronte a un colpo di stato dei venetisti o a un colpo di sonno della ragione degli inquirenti.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali