Il ministro degli Interni Angelino Alfano (foto LaPresse)

Quant'è piccolo Alfano, anche quando è centrale malgré soi

Giuliano Ferrara
Garantista sì, fesso no. Il mio giudizio su Alfano non conta molto, ma è negativo da sempre. Quando stava con Berlusconi, quando ha lasciato la ditta (e come), quando quando quando.

Garantista sì, fesso no. Il mio giudizio su Alfano non conta molto, ma è negativo da sempre. Quando stava con Berlusconi, quando ha lasciato la ditta (e come), quando quando quando. E spero, visto ciò che emerse a suo tempo nel caso della signora Shalabaeva, che al Viminale in tre anni abbia fatto meglio di quanto il mio giudizio in sé, che appunto non conta, potrebbe lasciar supporre. Non arrivo a sperare che sia estraneo al modesto ma irritante piazzamento alle Poste del fratello, o alla Pizza connection, mi limito alla pretesa garantista che le indagini sulla connection non siano inquinate dall’abuso politico (le intercettazioni, trascrizione e rilascio alla stampa, lo sono). Ma di queste pretese sono piene le fosse.

 

Siccome però osservo che i giudizi pubblici sul ministro dell’Interno sono passabilmente prudenti, infatti è prudente in certi casi essere prudenti, non vorrei che i sepolcri imbiancati a mezzo stampa che incarnano questa prudenza stiano lì a tergiversare perché non sanno ancora bene se sia possibile usare Alfano, l’usato insicuro che come dice Stefano Folli è “lambito” (ah, ah) dall’inchiesta, per levarsi dalle balle Renzi che gli sta sulle balle. Allora metto i puntini sulle i.

 

I) Alfano è figlio politico della colpa, cioè di Berlusconi, ma è un suo rinnegato, uno che quasi senza parere l’ha sgambettato nel momento peggiore per l’amico e patrigno politico. Al momento della condanna Esposito definitiva per truffa fiscale, nominato dal condannato nel governo Letta Jr., Angelino (agosto 2013) si sottrae alla solidarietà politica con il suo capo che abbandona la maggioranza di unità nazionale dopo le elezioni-stallo. Con la pattuglia intera dei ministeriali al seguito, consente a Letta Jr. di proseguire dicendo, sereno come era, che una squadra più piccola e una maggioranza più piccola sono la migliore soluzione, con la politica del cacciavite come comune destino, la prima di molte lezioni teoriche del cattedratico di Sciences Po e del presidente dell’Istituto Delors.

 

II) Letta Jr. era il figlioccio di Bersani che mandava pizzini a Monti per le nomine, cosa legittima ma non per un moraleggiante, e che dopo le elezioni-stallo aveva vinto la strana lotteria di Palazzo Chigi per rimpiazzare, in quanto vice della grande sconfitta elettorale del febbraio 2013, il “governo di cambiamento” che il povero Bersani voleva fare con Grillo, che lo mandò affanculo.

 

III) Letta Jr. e Bersani erano collegati politicamente e sodalmente al giro di Cielle e della Compagnia delle Opere (non so quali fossero le loro idee teologiche o propensioni carismatiche). Maurizio Lupi era un intermediario di rango. Con Angelino quelle di Letta Jr. sono vecchie e, up to a point, fruttuose frequentazioni, forse sfuggite o forse tollerate benevolmente dal vecchio Berlusca, eroe mitologico alla Proteo.

 

IV) La squadretta ristretta non funzionò, nonostante l’appoggio appassionato della stampa gufa. Alfano fu strumento di Letta Jr., un classico do ut des, ma strumento minore per un’impresa minore interrotta da un sodalizio un po’ tanto meno asfittico, più pubblico e garantito dalle primarie, quello della Leopolda. Poi sappiamo come andò. E c’è sempre Alfano di mezzo, e sempre come strumento, dev’essere un destino. Renzi vinse le primarie (ottobre 2013) che aveva perso, e le vinse dopo che quelli che le avevano vinte un anno prima, Letta Jr. come vice di Bersani, avevano perso elezioni già vinte in partenza. E usò Alfano per un progetto politico, detto il patto del Nazareno. Aggirò Angelino, mettendosi d’accordo direttamente con Berlusconi, cacciando l’incapace dal governo e realizzando quanto pattuito, l’abolizione del bicameralismo e la legge elettorale. Già che si trovava, fece anche parecchio di più, tra leggi sul lavoro e altre riforme e misure e tattiche o strategiche in Europa e in Italia. Lo strumento dell’inutile, nel periodo delle assunzioni alle Poste, divenne strumento dell’utile per il nuovo gruppo di potere e per il paese.

 

V) Ora Alfano, malgré soi, è strumento un po’ subdolo di scardinamento del sistema Renzi cosiddetto (con D’Alema che intona “vendetta, sì, vendetta, tremenda vendetta”). Scarti di un’inchiesta che vale per le intercettazioni che rilascia ai soliti noti lo sputtanano, per così dire, e lo mettono in condizioni di sottrarre un piccolo sostegno parlamentare utile a cose utili, e molto più grandi di lui. Stampa e tv, come l’intendenza napoleonica, seguono. Io, scusatemi, metto i puntini sulle i.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.