Marine Le Pen (foto LaPresse)

“Solo un'alleanza liberale potrà salvare quest'occidente”

Tommaso Alberini
Il disfattismo imperante in Europa, il welfare non più sostenibile, la minaccia autoritaria. Intervista a Stephen Davies, dell’Institute of Economic Affairs di Londra.

“La mia teoria è che al momento la maggior parte dei paesi occidentali sta attraversando un riallineamento dei valori e che la divisione politica sarà sempre più tra autoritari e liberali coerenti”, dice al Foglio Stephen Davies, storico del pensiero politico per più di trent’anni alla Manchester Metropolitan University, dal 2010 direttore del dipartimento istruzione dell’Institute of Economic Affairs. Da diverso tempo, Davies sostiene una teoria originale, che gli eventi a cui stiamo assistendo in occidente stanno dimostrando via via più profetica: la teoria del riallineamento politico. “La mia teoria – dice – parte da due domande fondamentali per capire la posizione ideologico-politica di una persona: sei generalmente a favore dell’intervento statale in economia? E poi: credi che lo stato dovrebbe promuovere un certo stile di vita (sessuale, familiare, culturale) piuttosto che altri? Negli ultimi quarant’anni, in Europa e nei paesi industrializzati, la principale divisione in politica è stata tra due parti: da un lato chi difendeva il libero mercato e allo stesso tempo era conservatore sui temi sociali, quindi ad esempio i governi della Thatcher qui nel Regno Unito, dall’altro chi invece era culturalmente liberale ma interventista in economia, i laburisti inglesi come la maggior parte della sinistra occidentale. Ma c’erano anche altri due gruppi, del tutto minoritari, che a lungo sono stati lasciati fuori dalla porta: i così detti libertarians, o liberali coerenti, cioè chi difendeva la libertà dell’individuo dall’azione dello stato sia nella sfera culturale che in quella economica, e all’opposto chi chiedeva l’intervento statale in entrambe, gli authoritarians”.

 


Stephen Davies


 

La questione fondamentale, aggiunge il nostro interlocutore, “non sarà più quella economica, un tempo capace di prevalere sulle visioni socio-culturali delle parti, ma ruoterà attorno all’identità personale e alla nuova domanda fondamentale della politica: ti piace questa società globale? Ti piace il movimento rapido di persone e capitali che ne deriva? Sei disposto ad accettare la fluidità dell’identità e la costante messa in questione dei costumi e delle tradizioni che ne consegue? Ti piace tutto questo o ti senti minacciato da ciò che rappresenta? Questa sarà (o lo è già) la nuova divisione politica della nostra èra”. Non ha dubbi, Davies, su come tale processo sia iniziato: “Con la crisi del comunismo, soprattutto. Ben prima del 1989 si aveva la crescente percezione che l’alternativa socialista e la possibilità di costruire una nuova società diversa da quella capitalistica, come i cigolanti esempi in Unione Sovietica, in Cina o a Cuba stavano dimostrando, non aveva possibilità di realizzazione. Tra gli anni 70 e 80 del 900, quindi, si è cominciato ad assistere ad un allineamento diverso dei valori politici: la sinistra ha cominciato a diventare più liberale in economia e la destra ha iniziato a lasciar la presa sulla morale tradizionale. Il risultato è che entrambi i poli, per la fine degli anni 90, stavano convergendo ampiamente verso il quadrante del liberalismo coerente”. Negli anni duemila, poi, erano del tutto simili, quando non uguali: “I poli mainstream della politica erano entrambi tendenzialmente liberali coerenti e questo ha lasciato fuori dalla porta gli autoritari, o statalisti, a destra come a sinistra, che ora si stanno aggregando in un nuovo polo politico”.

 

Anche qui gli esempi non mancano: “Il Front National incarna perfettamente il tipo di collettivismo di destra a cui mi riferisco. Da dove pensi che arrivi metà del suo elettorato? Dal partito comunista francese. Sopratutto da quando Le Pen figlia è leader, il partito ha promosso misure economiche interventiste, protezioniste e nazionaliste, istigando il sentimento no-global, no-mercato e no-migrazioni. Il tutto tenuto assieme dal mastice del conservatorismo tradizionalista: no ai matrimoni gay, sì al welfare state (solo per i francesi, sia chiaro). Sta succedendo in tutta Europa: in Polonia col PiS, in Svezia con i Democratici Svedesi, in Germania con Afd. Persino negli Stati Uniti, dove Trump si esprime a favore di Medicare, Medicaid e previdenza sociale mentre promette di costruire muri ai confini e invoca l’isolazionismo in politica estera. In Italia avete la Lega Nord e il Movimento 5 stelle”.

 


Matteo Salvini e Marion Le Pen (foto LaPresse)



Anche per questo mai come ora vi è la necessità di stabilire un’alleanza anti-disfattismo, magari una versione rinnovata del Patto del Nazareno? Sì, dice Davies: “E’ l’approccio giusto. Al momento la destra nazional-populista (che secondo me è la peggiore delle aggregazioni politiche, perchè sbaglia sia sull’economia che sui temi sociali) si trova in una congiuntura storica a lei favorevole. In Polonia e Ungheria è già al governo. In Austria non ha eletto il presidente per un soffio e l’anno prossimo alle presidenziali francesi è quasi sicuro che Marine Le Pen arriverà al ballottaggio al secondo turno, probabilmente contro i gaullisti. Il problema è che l’opposizione a questo blocco autoritario è divisa tra liberali coerenti e liberali sociali, che non mollano la presa sull’interventismo economico. Dovranno invece cooperare, altrimenti vedremo paesi come l’Italia, la Svezia o il Regno Unito diventare come l’Ungheria o la Polonia”. Tornando alla teoria del riallineamento, lo storico spiega che essi si sono sviluppati “col nascere della politica moderna, quella ideologica: alla fine del 1700. Prima di questa data la politica riguardava soltanto le èlites aristocratiche, era tutta una questione dinastica. Assomigliava a Game of Thrones se vuoi.

 

Poi le grandi rivoluzioni, l’illuminismo e, prima di tutto in Francia, sono apparsi i tre poli della politica contemporanea: quello egualitario, quello libertario e quello scettico-tradizionalista. Inizialmente il polo egualitario e quello libertario, quindi socialisti e liberali, erano alleati contro i conservatori del terzo polo, difensori dell’Ancién Régime come Pio IX e Louis de Bonald, tutto trono e altare. Quando poi le monarchie assolute e teocratiche hanno palesato l’impossibilità di tornare in auge, le ragioni dell’alleanza tra liberali e socialisti sono venute meno, mentre assumeva sempre più importanza la questione economica su cui ovviamente divergevano. Ecco che allora tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo si ha una prima spaccatura dello spettro politico: da un lato i liberali radicali e i socialisti, dall’altro i liberali moderati e i conservatori. Quindi alla fine della Seconda guerra mondiale ovunque, in Europa, entrambi gli schieramenti erano culturalmente illiberali ma divisi sull’economia. Negli anni 60 e 70, con le proteste studentesche e le rivoluzioni di costume, la sinistra è diventata più culturalmente liberale rimanendo interventista in economia, la destra si è invece radicata a difesa del mercato e dei valori tradizionali”.

 

Inevitabile tornare al punto di partenza, dal momento che “ogni trenta-quarant’anni, in pratica, si assiste ad un riallineamento delle posizioni politiche, ovviamente con differenze di tempo a volte notevoli tra paese e paese. Il riallineamento è minore se implica l’avvicinarsi su determinate posizioni dei due poli principali, come quello avvenuto alla fine del 900.  E’ maggiore se invece implica una polarizzazione radicale e uno stravolgimento della tematica attorno a cui ruota il dibattito. In questo caso l’avvio del meccanismo è l’accettazione, più o meno da parte di tutti, della questione nodale cui ruotava attorno lo scontro precedente,  da un lato, e il sorgere di una nuova issue riguardo alla quale tutti sono preoccupati e di cui si discute con maggiore interesse, dall’altro. Il nuovo tema genera nuovi dibattiti e il nuovo assetto di posizioni genera una nuova divisione tra le parti politiche. Quello a cui stiamo assistendo oggi è un riallineamento “maggiore”, il secondo nella storia dopo quello avvenuto alla fine dell’800”.

 

In ogni caso, il discorso sull’economia e la sua gestione non è affatto superato, anche se “è senz’altro divenuto secondario”, chiarisce Davies. “Le ragioni per cui un crescente numero di persone sta passando dalla parte del protezionismo, del nazionalismo economico e dell’anti-immigrazionismo sono principalmente ragioni non economiche: la gente sente che senza quel tipo di politiche l’identità alla quale è aggrappata verrà distrutta dal processo di globalizzazione e dall’innovazione tecnologica. E temo che il dibattito diventerà ancora più intenso: l’automazione farà sì che un’immensa quantità di lavori tradizionali semplicemente finirà con lo svanire, nei prossimi anni. Quindi, tutti i temi che oggi sembrano ancora legati alla questione dell’economia e della sua gestione, settore pubblico contro settore privato, sono in realtà legati al tema dell’identità nazionale e culturale che si sente sempre più minacciata”.

 

Inevitabile un riferimento all’appuntamento di domani, il referendum che deciderà sulla permanenz o meno del Regno Unito nell’Unione europea: “Quel che sta succedendo è che tutte le persone che sono al momento nello stesso partito e dalla stessa parte si ritrovano ad essere rivali e cominciano a stringere alleanze con quelli che in teoria sono a loro opposti. Il referendum sulla Brexit ha accellerato il processo di rimescolamento tra i partiti che qui nel Regno Unito stava procedendo più lentamente che nel resto d’Europa (dove il sistema proporzionale ha facilitato la nuova rappresentanza). Nel Partito Conservatore c’è una fazione dominante che è genericamente liberale sia sulle istanze economiche che su quelle social-culturali. Un’altra parte invece sta abbandonando il liberismo per il protezionismo, il cosmopolitismo per il nazionalismo, e ovviamente il controllo del movimento di persone e capitali che ne consegue, facendo da spalla allo Ukip. Lo stesso succede all’interno del Partito Laburista, dove c’è una metà di parlamentari New Labour e l’altra metà che col cambio di leadership [da Milliband a Corbyn, ndr] in economia ha ricominciato ad essere interventista, mentre rimane molto liberale dal punto di vista culturale. Un blocco enorme di elettori laburisti, però, (per lo più anziani, bianchi, working class) si sta aggregando al blocco di malcontento verso i conservatori liberali guidati da David Cameron, formando così la nuova destra nazionalista, anti-globalista ed economicamente interventista che sarà un’alleata d’oltre Manica per il Front National e le altre forze populiste”.

 

Arduo dire come voterà un liberale coerente, perché “dipende cosa credi che succederà dopo. Chi supporta il fronte del Remain è genericamente ascrivibile ai liberali coerenti. Il fronte del Leave è invece più variegato. Da un lato ci sono gli authoritarians che vedono nel referendum un’arma da usare nella battaglia nazionalista e protezionista che stanno portando avanti. Dall’altro quelli che credono che lasciando l’Europa il Regno Unito potrebbe trasformarsi in un paradiso liberista indipendente alla Hong Kong, sono i Nigel Farage e  i Douglas Carswell”. Quanto a Boris Johnson, “è semplicemente un opportunista. L’unica cosa in cui crede è il suo approdo prossimo a Downing Street. Diventare primo ministro soppiantando Cameron, ecco, in questo crede fermamente. Tornando al voto sulla Brexit: è difficile segmentare gli elettori, perchè molte persone che voteranno allo stesso modo lo faranno con intenzioni e speranze opposte”. Il problema del blocco liberale è che “non riesce a decidersi sulla questione economica”, senza dimenticare che di questione ce n’è un’altra, ed è quella ambientale.

 

“La green issue è una delle ragioni per cui il fronte liberale non è ancora riuscito a compattarsi. Ci sono i verdi radicali dal cui punto di vista l’argomento è irrilevante, perchè per loro la civiltà industriale è condannata e dunque discutere di soluzioni è come spostare sedie sul Titanic. Però ci sono anche i verdi più moderati, che sono il vero ostacolo perchè in nome dell’ambiente supportano politiche spesso preotezioniste, che i liberisti non sono disposti ad accettare. Nei prossimi anni, però, la minaccia autoritaria li costringerà al compromesso, a meno che la destra collettivista non inizi a promuovere politiche verdi per sottrarre elettori ai liberali, cosa che il Front National sta già iniziando a fare. Marine Le Pen è una politica molto astuta e sa che le istanze ambientaliste sono molto facilmente coniugabili a quelle no global”.

 

E quali sono le soluzioni, le risposte dei liberali coerenti ai grandi problemi della contemporaneità, dall’identità all’immigrazione, fino all’ambiente? “Per l’ambiente – dice Davies – ci sono diverse soluzioni che possono venire dal settore privato, come quelle concernenti l’uso dei diritti di proprietà intellettuale e quelle di decentralizzazione studiate da Ellinor Ostrom [Premio Nobel per l’economia nel 2009, ndr] e dai suoi studenti. Per altre questioni ci dovremo rassegnare all’idea di non poterle risolvere perchè per fare ciò, anche volendo agire tramite lo stato, si dovrebbe costituire prima un governo mondiale, il che è A) impossibile e B) altamente indesiderabile per infinite e più ragioni. Potrebbe essere il caso del riscaldamento globale, ma può essere anche che lo sviluppo tecnologico ci aiuti molto in questo senso. Ad esempio è noto che molti problemi ambientali derivino dall’agricoltura che distrugge certi habitat. Credo che molta della carne che mangeremo in futuro, tra poco più di vent’anni, sarà sviluppata in vitro, anzichè provenire direttamente dagli animali. Per quanto riguarda l’immigrazione rimango fermamente della mia idea pro-libere frontiere. La posizione del liberale coerente è di dire alla gente che dovrebbe credere di più nella capacità di sopravvivenza della loro cultura: se è robusta e radicata a sufficienza sarà in grado di assimilare anche un ingente numero di nuovi e diversi arrivi. Sarà difficile e faticoso, ma credo che alla fine le persone, gli individui, saranno in grado di affrontare la questione cooperando pacificamente”.


Va fatta una postilla riguardo al welfare, che “a prescindere dall’immigrazione è semplicemente insostenibile nella maggior parte dei paesi europei”. Per il futuro, Stephen Davies pensa a forme welfaristiche private. Dopotutto, dice, “è questione di matematica: se si guarda alla quantità di denaro che i governi hanno promesso di dare in benefit e pensioni alla popolazione che sta invecchiando si scopre che quei benefit e quelle pensioni semplicemente non verranno pagate. A meno che le economie europee non si mettano a crescere del 7-8 per cento, cosa che non è mai successa prima quindi non vedo perchè dovrebbe accadere ora. Questo provocherà rotture sociali e proteste, come sta avvenendo in Francia [per la riforma del lavoro di Macron, una sorta di jobs act alla francese, ndr] ma alla fine la realtà prevarrà e ci si renderà conto di dover accettare il cambio di rotta.

 

Rimane infine, la questione forse più importante, quella dell’identità. E’ il relativismo globalista l’unica via? “Se sei un libertarian non sei un relativista: credi fermamente che certi valori e certi stili di vita siano superiori ad altri. Il modo migliore per rispondere alle persone che non condividono i tuoi stessi valori è l’uso della persuasione, dell’interazione sociale, del commercio, e allo stesso tempo spingere per promuovere quegli stessi valori che reputi superiori agli altri: la libertà individuale, l’indipendenza e la libera scelta personale. Sono abbastanza certo del potere di una società capitalistica libera di minare alla base e finalmente di distruggere il collettivismo, la patriarchia e i fanatismi religiosi, e non, di cui abbiamo parlato”.