Marco Pannella (foto LaPresse)

Tre test di “radicalità”, dall'elezione di Cicciolina a Pannella con l'Msi

Luigi Manconi

Pensieri di un non radicale che da anni è vicino ai radicali. Voglio discutere quelle scelte dei radicali che più hanno determinato attrito con gli orientamenti della sinistra. Tre questioni in apparenza di dettaglio, tutte scandalose, tutte contro la tradizionale cultura sinistrica e, alla fine, tutte rivelatesi sostanzialmente sagge e istruttive.

Quelli che seguono sono tre pensieri radicali di un non radicale: anche se una breve premessa autobiografica spiega la parziale falsità di una simile affermazione. Dunque, dalla seconda metà degli anni Settanta cominciai a frequentare i radicali e Marco Pannella. Nei decenni successivi ho condiviso, spesso partecipandovi direttamente, gran parte delle battaglie radicali, da molti anni sono iscritto al partito e ad alcune “associazioni costituenti” lo stesso Pr, e qualche anno fa Pannella mi inserì “a forza” nella Direzione di Radicali italiani (che per neghittosità frequentai assai poco). Ma nonostante ciò, non mi definirei un radicale in senso stretto, perché – pur tra mille eterodossie e contaminazioni – il mio connotato qualificante resta quello di sinistra. E proprio a partire da questa mia resistente identità, voglio discutere quelle scelte dei radicali che più hanno determinato attrito con gli orientamenti della sinistra. Lo farò attraverso tre test di radicalità. Tre questioni in apparenza di dettaglio, tutte scandalose, tutte contro la tradizionale cultura sinistrica e, alla fine, tutte rivelatesi sostanzialmente sagge e istruttive.

 

1. Test pornografico. L’elezione di Ilona Staller al Parlamento italiano non piacque a tanti e, tra essi, a molti radicali. Ma, innanzitutto, va ripristinata la verità dei fatti: la Staller non “fu candidata” da Marco Pannella, bensì trovò spazio – come chiunque altro avrebbe trovato – nelle liste radicali, che sono per definizione e per statuto aperte a tutti. Poi, fu la callida professionalità del suo manager, Riccardo Schicchi, e l’euforia tardo adolescenziale di molti italiani divertiti e infoiati a determinarne l’elezione, grazie a un buon numero di preferenze. E, tuttavia, Ilona Staller si ritrovò assai coerentemente, a mio avviso, in quel partito. E proprio perché la sua vita e la sua immagine esprimevano, certo approssimativamente, quella libertà su di se e sulla propria sessualità che costituisce – qui in una versione sgangherata e subalterna – un tratto della cultura radicale. E, infatti, sarebbe un errore ritenere che quella cultura potesse manifestarsi solo attraverso le biografie e gli stili virtuosi di Adelaide Aglietta e di suor Marisa Galli. C’è una dimensione libertina e fin licenziosa dell’identità radicale, che può convivere con un’altra rigorosa e ascetica, e che non può in alcun modo venire espunta. Lo “scandalo Cicciolina” rappresentò ciò anche nei confronti degli stessi radicali; e l’irruzione del suo corpo pornografico in Parlamento non fu, indubbiamente, un fatto epocale, e nemmeno un atto sovversivo: più semplicemente, fu uno sberleffo, ma non superfluo.

 

2. Test fascio-’ndranghetista. I radicali e Marco Pannella non hanno mai frapposto barriere politiche e pregiudiziali ideologiche al rapporto con i fascisti e con questo termine, qui intendo, sia coloro che si riconobbero nel fascismo, successivamente emancipandosene, sia coloro che hanno conservato tracce tutt’altro che esili dell’ideologia dell’estrema destra totalitaria. E così la cultura radicale ha portato alle estreme conseguenze un paradigma particolarmente arduo da intendere e da applicare. Ovvero quello della convivenza pacifica tra principi in conflitto e obiettivi in comune. La concentrazione assoluta sull’obiettivo non consente alcuna selezione, e tantomeno, discriminazione nello stringere alleanze. L’obiettivo è a tal punto qualificante da “qualificare” la peggiore canaglia compresa la più “squalificata”. E ciò non perché i valori e i principi siano sacrificati allo scopo: perché, piuttosto, valori e principi vengono conservati intatti, sempre intensamente richiamati e vissuti, ma come “posti al riparo” dalla collaborazione che il perseguimento dello scopo esige. Questo fa sì che l’incontro possa realizzarsi anche tra i più lontani (per valori e principi) quando l’obiettivo sia comune. E’ una soluzione originale della questione della laicità della politica – altra cosa rispetto al “disincanto” – che qui raggiunge la sua forma, per così dire, assoluta, senza mai derogare alla forza (anche emotiva) di valori e principi irrinunciabili. E senza che questo mai possa scambiarsi per opportunismo o per cinismo (al di là di singole scelte sbagliate sempre possibili). Questo spiega perché Marco Pannella poté prendere la parola – per così dire impunemente – il 20 febbraio del 1982 al congresso del Movimento sociale italiano con “un discorso storico accolto da un’ovazione” (come ebbero a scrivere gli eredi dell’Msi oltre trent’anni dopo). E spiega anche come, più di recente, lo stesso Pannella poté ipotizzare l’apparentamento con La Destra di Francesco Storace per le elezioni regionali del marzo del 2013 (ipotesi tramontata per il dissenso di alcuni dirigenti radicali). E ancora – e su tutt’altra lunghezza d’onda – può ricondursi a una medesima ispirazione la vicenda dell’iscrizione al Partito radicale di Giuseppe Piromalli, boss della ’ndrangheta. Ma, a ben vedere, anche quell’appellativo provocatorio “compagni assassini”, indirizzato ai militanti delle brigate rosse, richiamava il medesimo intento.

 

3. Test bellico. Da quanto sopra detto discende che i radicali hanno portato a un esito estremo la de-strutturazione della categoria di nemico all’interno della sfera politica. Ormai è quasi scontato ribadire che il conflitto nella dimensione pubblica debba svolgersi tra avversari che reciprocamente si legittimano. Ma era tutt’altro che così mezzo secolo fa. C’è chi a una simile conclusione è arrivato solo di recente e chi, come appunto i radicali, da quell’assunto è partito e ha operato affinché se ne diffondesse la consapevolezza, anche attraverso quei gesti iconoclastici che prima ho sintetizzato (ad esempio, nei confronti dei “fascisti”). Certamente quella smilitarizzazione del conflitto politico e quella de-bellicizzazione del relativo linguaggio sono stati agevolati dall’originaria assunzione della nonviolenza come fonte unitaria della intima coincidenza tra mezzi e fini.
Tre questioni di dettaglio, dicevo, ma la cura del dettaglio e la sollecitudine per il particolare rivelano quella tenace pazienza che, del metodo radicale, rappresenta una delle virtù rivoluzionarie tra le meno caduche.

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