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I godimenti del ballottaggio. Meraviglie di un sistema elettorale che impone il bipolarismo

Claudio Cerasa

Quale che sia l'esito delle urne che conosceremo lunedì, il bello del doppio turno è che costringe a cestinare il metodo Zagrebelsky – di Claudio Cerasa

 

 

Si può essere indifferentemente sostenitori di un partito oppure di un altro e si può sognare al ballottaggio di domenica un nome a caso tra Parisi e Sala, Fassino e Appendino, Lettieri e De Magistris, Giachetti e Raggi, Merola e Borgonzoni. Ma alla fine il punto non cambia. E quale che sia la fede politica di ognuno di noi, quando ci si ritrova di fronte a un ballottaggio non si può che sorridere di gusto ragionando sulle meraviglie di un sistema elettorale – il doppio turno, o yes – che a prescindere dal risultato finale già oggi ci consegna un risultato mica male: un grande ciaone alla retorica della frammentazione, alla vocazione minoritaria, alla dittatura dei partitini e alle tentazioni proporzionalistiche; e uno speculare trionfo della cultura di governo, del principio di realtà, della logica del bipolarismo e delle alleanze tra quegli elettori che in un modo o in un altro, grazie al ballottaggio, sono costretti a scegliere se stare di qua o di là.

 

Lunedì mattina sapremo dunque chi sarà il sindaco di Torino, di Milano, di Roma, di Bologna, di Napoli e di altre centinaia di città. Ma per quanto si possa essere sostenitori di Renzi, di Grillo o di Berlusconi, e per quanto ci possano essere dei piccoli segnali in un verso o in un altro che arriveranno dal voto amministrativo, la verità è che per la prima volta nella storia del nostro paese sapremo che quella sensazione piuttosto rassicurante che vivremo lunedì mattina quando sapremo chi governerà alcune delle città più importanti d’Italia l’avremo finalmente anche alle prossime elezioni quando si andrà a votare per scegliere il nuovo Parlamento e il nuovo presidente del Consiglio con una nuova e goduriosa legge elettorale (l’Italicum). Il godimento dei ballottaggi è che alla fine può piacere o no ma vince sempre chi merita e chiunque si ritrovi di volta in volta a sfidarsi per governare è costretto a fare un passo in avanti e a fare uno sforzo concreto, magari mangiandosi le mani e magari facendo sparire i propri compagni di partito, per essere percepito più come partito di governo che come partito di lotta. A questo giro è successo persino con il 5 stelle. E seppure quelle di Appendino e di Raggi sono due maschere che nascondono la vera natura grillina (che resta sempre un fungo che trae la sua forza e la sua linfa dai peggiori concimi disseminati in giro per l’Italia) anche i candidati a 5 stelle hanno dovuto trovare una chiave per offrire agli elettori una vocazione maggioritaria e presentare un partito dell’altra nazione. Un partito in cui si sentono contemporaneamente a casa Di Maio, Alemanno, Marino, Salvini, Fassina e forse persino D’Alema (tutti a sostegno di Raggi) e che pur essendo fragile costituisce un’alternativa al modello renziano del partito della nazione (ok, siamo pronti a svenire).

 

L’altra formidabile caratteristica del ballottaggio è che quando si arriva al dunque, al secondo turno, ci si accorge in modo quasi naturale che l’unico modo per avere un contrappeso alle egemonie politiche dominanti (Renzi) non è quello di invocare (modello Settis-Montanari-Zagrebelsky-Rodotà-D’Alema) una deriva autoritaria ma è quello di costruire un’opposizione che sappia semplicemente essere un’alternativa di governo. I ballottaggi, da questo punto di vista, aiutano a rottamare il partito dei Settis e degli Zagrebelsky ma prima di pensare che il doppio turno di domenica (dio lo benedica) consegnerà la corona dell’alternativa di governo al Movimento 5 stelle ricordatevi un dato: su 121 comuni al ballottaggio, il Movimento 5 stelle è arrivato al secondo turno in 19 comuni, il centrodestra in 54, il centrosinistra 83. Il bello dei ballottaggi è anche questo: se sei la terza forza del paese puoi vincere in alcune città ma alla fine resti sempre la forza numero tre. Olè.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.