Ieri il Cav. ha invitato a votare scheda bianca a Roma (foto LaPresse)

La nuova traiettoria del Cav. che sceglie di non schierarsi con Grillo

Redazione
Neutralità, nuovi equilibri, Salvini ridimensionato e quelle convergenze naturali a Roma tra Giachetti e Marchini

Roma. Nessun accordo politico, nessun apparentamento, anche se entrambi ci hanno pensato, e non poco. D’altra parte ieri notte sembrava possibile, per qualche ora quasi certo, che Alfio Marchini stringesse la mano di Roberto Giachetti diventando addirittura il candidato vicesindaco di una virtuale coalizione dal forte sapore nazarenico. Non succederà. Ma qualcosa succede comunque. E infatti Giachetti, il candidato del Pd adesso al ballottaggio contro il Movimento cinque Stelle, proverà a sedurre la zona grigia, gli elettori più moderati del centrodestra, quelli che rimasti a casa non hanno votato per Giorgia Meloni, la candidata del fronte lepenista che ha lasciato per strada un terzo dei voti della destra. E se Marchini non farà nell’immediato endorsement ufficiali al candidato del centrosinistra, tuttavia in privato, ai suoi amici, l’imprenditore lo dice chiaro quello che pensa, e quello che potrebbe accadere: “E’ naturale”, ha spiegato ai suoi, “che ci sia una più che probabile convergenza con Giachetti per il bene di Roma e contro gli estremismi”. Una convergenza elettorale, antropologica, una intersezione insiemistica – si direbbe in termini matematici – tra gruppi elettorali non così distanti, accomunati da un’idea meno urlata della politica di quella offerta da Virginia Raggi e da Meloni.

 

E già gli ultimi giorni di campagna elettorale avevano disegnato, quasi marcato nell’aria il profilo, d’una specie di fronte comune tra Marchini e Giachetti entrambi orientati, dal punto di vista della comunicazione, nella scelta delle parole e dei messaggi, a sottolineare il rischio di una vittoria a Roma del Movimento Cinque Stelle e di Raggi. Così Marchini non attaccava Giachetti e Giachetti non attaccava Marchini.

 

Può funzionare? Chissà. I voti non hanno padroni e non si spostano facilmente, come spiegano tutti i sondaggisti e gli esperti di flussi elettorali in queste ore, come dice anche Alessandra Ghisleri, la sondaggista di Silvio Berlusconi. D’altra parte, come spiega Francesco Storace, “uno agli elettori può dire quello che vuole. Ma poi come si comportano è imprevedibile”. Eppure negli ambienti della destra più moderata, tra i professionisti e nel ceto medio cittadino, potrebbe succedere qualcosa, potrebbe anche saldarsi quel partito della nazione che non esiste nell’offerta politica ma forse esiste nella società. “Io sono per Giachetti”, ha detto, non a caso, Guido Bertolaso alla Radio. Parole evidentemente non neutre, ma che arrivano dal candidato, poi ritiratosi, di Berlusconi. Parole che forse intercettano anche un sentimento inespresso (e ovviamente inesprimibile) del Cavaliere: “Giachetti è stato capo di gabinetto di Rutelli. E conosce sicuramente meglio i problemi e le difficoltà per risollevare Roma”, ha detto Bertolaso.

 

Tuttavia la posizione ufficiale di Forza Italia è un “né con Raggi né con Giachetti”, “né con il grillismo né con il renzismo”, e Berlusconi lo ha ribadito ieri pomeriggio con una nota, invitando gli elettori di centrodestra a votare scheda bianca. La destra berlusconiana non sceglie un candidato per il ballottaggio (e non sceglie di far fronte unico con Grillo), ma qui e lì si possono rintracciare dei segnali, per quanto piccoli, per quanto forse assolutamente casuali. E’ stato per esempio messo in sordina – da Arcore – Renato Brunetta, lo spumeggiante capogruppo di Forza Italia che ieri pomeriggio s’era lanciato in un tanto allusivo quanto sorprendente endorsement rivolto ai grillini (“noi siamo alternativi al Pd, e chi vuol capire capisce”). Dice infatti Maurizio Gasparri, con carica ironica: “Ho sentito le parole di Renato. Voglio solo specificare che io tengo a casa una scimitarra che mi fu regalata dall’ambasciatore del Marocco. Se qualcuno di noi si mette a fare endorsement, gli taglio le mani”. Nessun endorsement, nessuna dichiarazione di sostegno. Ma, come dice Marchini, “una convergenza probabile e più che naturale”. Che sia sufficiente a battere i Cinque stelle, questo non lo sa nessuno.

 

Di certo a Palazzo Grazioli, pur in quel litigioso panorama di macerie che è diventato il centrodestra romano, nessuno si dispera. Al contrario. Gregorio Fontana, parlamentare di Forza Italia, ha consegnato al Cavaliere uno schema riassuntivo e nazionale di queste elezioni, ha cioè sommato tutti i voti presi dai partiti del centrodestra, escludendo le liste civiche. Emerge un quadro che ha fatto sorridere Berlusconi: Forza Italia è di gran lunga il partito più votato della coalizione (8-9 per cento), segue Fratelli d’Italia (5-6 per cento) e Lega (5 per cento). Ma scomputando Roma, il risultato cambia, e fa sorridere ancora di più il Cavaliere: Forza Italia balza al 10, la Lega sale al 6 per cento mentre Fratelli d’Italia precipita al 2. Così ieri Berlusconi, parlando con i suoi assistenti, ha spiegato che “senza di me non funziona niente. Sono più centrale che mai. Il modello vincente è quello di una coalizione ampia, con un candidato moderato, come Stefano Parisi a Milano o Giovanni Toti in Liguria”. E insomma, dice il Cavaliere, il tentativo di rottamazione, il piano di Matteo Salvini, è fallito. Ma adesso c’è il secondo turno. A Milano deve vincere Parisi. E a Roma per chi batte il cuore del Cavaliere?