Roberto Benigni (foto LaPresse)

Fo contro Benigni. Con Renzi e senza Caimano una sinistra è smarrita

Luciano Capone
L'attore toscano a Ezio Mauro ha detto: “Se c’è da difendere la Costituzione, col cuore mi viene da scegliere il “no”. Ma con la mente scelgo il “sì”. La cosa non è andata giù ai suoi ex compagni di barricata: “C’è qualcosa del ‘dare e avere’. Non c’è dubbio che questa posizione favorisce il governo e il potere. Sarà ripagato”, accusa il premio Nobel.

Roma. Sono ingiuste le accuse di “venduto” a Roberto Benigni per il suo sì a favore della riforma costituzionale, ma c’è da capirlo questo popolo di sinistra che si sente tradito dal cantore della “Costituzione più bella del mondo”. Quando c’era Berlusconi era tutto chiaro: la Costituzione e il bene comune da una parte, il dispotismo e il degrado morale dall’altra. Con Renzi ora non ci sono più certezze.

 

Aveva detto che avrebbe votato sì al referendum costituzionale, ma non ci si credeva. Le reazioni erano indignate ma col punto interrogativo, “davvero Roberto voterai sì o stavi scherzando?”, diceva il blog di Beppe Grillo. “Non è più ribelle, si adatta al meglio che può ricavare”, alludeva Dario Fo, ma senza calcare troppo la mano. “Roberto, non ti riconosciamo, ripigliati!” era il senso. E il Benigni era poi ritornato sui suoi passi, dicendo che “era orientato a votare no”. Così i Tutori della Costituzione avevano tirato un sospiro di sollievo. E’ dei nostri. Nell’aria però s’era capito che non sono più i tempi del Caimano, dove già si sapeva dove stare. Partigiani veri, falsi o presunti da una parte e fascisti dall’altra, democrazia da una parte e deriva autoritaria dall’altra. E così via.

 

Con questo Renzi, che non si capisce se è dei nostri o è l’erede di quello di prima, si sapeva che non sarebbe stata una replica. E infatti, prima della replica su Rai 1 de “La più bella del mondo”, l’elogio della Costituzione che risale al 2012, il comico toscano – che in genere non fa interviste – in una lunga conversazione con Ezio Mauro su Repubblica ci ha tenuto a precisare che il monologo a questo giro non va interpretato come a quei tempi: “Se c’è da difendere la Costituzione, col cuore mi viene da scegliere il “no”. Ma con la mente scelgo il “sì”. E anche se capisco profondamente e rispetto le ragioni di coloro che scelgono il “no”, voterò “sì””. Nell’anteprima ha anche detto che la nostra Costituzione è la più bella proprio perché si può cambiare: “E’ scritto dentro la Costituzione”.

 

La cosa non è andata giù ai suoi ex compagni di barricata: “C’è qualcosa del ‘dare e avere’. Non c’è dubbio che questa posizione favorisce il governo e il potere. Sarà ripagato”, accusa Dario Fo. Tutti gli danno del venduto, roba che prima al massimo faceva solo Vittorio Sgarbi, con quell’interminabile “pagato! pagato! pagato!” in difesa di Iva Zanicchi, sbertucciata da Benigni a Sanremo con battute a sfondo sessuale. Adesso il comico toscano rischierebbe accuse di sessismo e incitamento al femminicidio, ma all’epoca ci si divertiva un sacco con le battute sulla Zanicchi, le ministre, Berlusconi e Brunetta. In fondo era satira per difendere la democrazia. C’era Benigni che commentava la Costituzione e subito dopo Zagrebelsky che commentava Benigni che aveva commentato la Costituzione. Appena c’era la Costituzione in pericolo o c’era puzza di “svolta autoritaria”, partiva in automatico un appello di professori, artisti e intellettuali. Ora con Renzi si sono scisse anche le mailing list: partigiani da un lato e partigiani dall’altro, professori per il no e professori per il sì, 56 costituzionalisti per il no e 250 professori per il sì, le riforme con Verdini e Casapound che difende la Costituzione antifascista. C’è confusione e smarrimento. Ora tocca persino andare a cavillare sugli intellettuali per il sì che sono psicanalisti, giudaisti e storici e non valgono quanto 56 costituzionalisti, mentre prima quando c’era lui, il Caimano, per difendere la Costituzione andavano bene anche le firme di Fiorella Mannoia, Sabrina Ferilli e Marisa Laurito.

 


Il presidente del Consiglio Matteo Renzi (foto LaPresse)


 

Sono eccessivi e ingiusti gli insulti e le accuse di “venduto” a Benigni, ma c’è da capirlo questo popolo di sinistra che si sente tradito dal cantore della “più bella del mondo”, sacra, perfetta e inviolabile. Per anni l’hanno abituato a ragionare con uno schema semplice: la Costituzione e il bene comune da un lato, il dispotismo e il degrado morale dall’altro. Benigni, che è pure il più popolare dantista del paese, comprenderà che le ingiurie e le pernacchie sono il contrappasso delle lodi e degli applausi ricevuti durante la precedente vita nell’èra berlusconiana.

 

Che la grande famiglia della sinistra stesse andando verso il divorzio era chiaro dopo il risultato disastroso delle ultime elezioni politiche. Proprio Benigni aveva tentato in extremis di unire i cocci con l’appello insieme a Michele Serra, don Ciotti, Oscar Farinetti, don Gallo, Jovanotti, Roberto Saviano, Salvatore Settis e Barbara Spinelli a favore del “governo del cambiamento” con i grillini. Ma tutto è naufragato in diretta streaming, con Bersani e Letta respinti da Crimi e la Lombardi. Era l’ultima chance. Poi è venuto Renzi, ognuno è andato per conto suo e il popolo s’è smarrito. Per far tornare le cose come prima servirebbe un miracolo, tipo la vittoria del no e il ritorno di Berlusconi al governo.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali