Il viceministro dell’Economia del governo Renzi, Enrico Zanetti (foto LaPresse)

Cambiamo l'Italicum in nome della nuova Costituzione, dice Zanetti

Marianna Rizzini
Il progetto del viceministro dell’Economia: costruire in Italia “il partito liberaldemocratico che manca”. “Al progetto possono aderire tutti”, dice Zanetti: “Pensiamo a un partito liberal-democratico che riunisca il riformismo laico, liberale e repubblicano e il riformismo cattolico, e che in Europa trovi nell’Alde il suo riferimento".

Roma. Enrico Zanetti è il viceministro dell’Economia del governo Renzi che sul referendum costituzionale sarebbe disposto ad aprire a modifiche sulla legge elettorale pur di compattare e far vincere il fronte del “sì”, ma è anche il segretario nazionale di Scelta civica, partito nato con la discesa in campo di Mario Monti e via via segnato da una certa diaspora di parlamentari. Ora Zanetti rilancia con un progetto: costruire in Italia, dice, “il partito liberaldemocratico che manca”, motivo per cui lunedì scorso, a Bruxelles, ha incontrato Guy Verhofstadt, leader dei liberaldemocratici europei, per esporgli la sua idea di un “percorso politico che ha preso l’avvio dal congresso di Scelta Civica e che oggi ha i suoi pilastri sul territorio, con oltre 60 liste presentate con la rete ‘Cittadini per l’Italia’ nei comuni sopra i 15 mila abitanti”. Nel nome e nella sostanza, i “Cittadini per l’Italia” si richiamano ai Ciudadanos spagnoli e fanno leva sulla società civile. Poi c’è il Parlamento italiano, dove, dice Zanetti, “ci sono forze interessate a questo percorso e che, con Sc, possono diventare la piattaforma di un processo costituente per un Cantiere dei moderati, riformisti e liberaldemocratici”.

 

“Non è una mera fusione di gruppi parlamentari”, dice Zanetti per rispondere a chi, in questi giorni, gli ha chiesto non senza malizia: “Ma allora farete un gruppo unico Scelta civica-Verdini?”. “Al progetto possono aderire tutti”, dice Zanetti: “Pensiamo a un partito liberal-democratico che riunisca il riformismo laico, liberale e repubblicano e il riformismo cattolico, e che in Europa trovi nell’Alde il suo riferimento, anche perché il Ppe è altamente conservatore, mentre il centro che noi vogliamo costruire è riformista e come tale liberaldemocratico nelle sue due componenti: quella laica, liberale e repubblicana e quella cattolica, liberale e riformista. La missione di costruire questo centro se l’era data Sc, ma da un punto di vista politico è fallita: il gruppo dirigente, nei primi due anni, ha privilegiato i destini personali a una costruzione faticosa ma necessaria ‘dal basso”. “Un processo di questo tipo”, dice Zanetti, “ha bisogno di coordinate, di spunti e di una carta dei valori, e deve restare fuori dalla dinamiche partitiche”. In questo quadro si inserisce anche la partecipazione di molti deputati di Sc a un convegno organizzato a metà giugno dalla Fondazione Einaudi sulla tradizione liberaldemocratica nel sistema politico italiano. “Dentro e fuori le istituzioni i tempi sono maturi, c’è interesse nel mondo accademico e politico”, dice.

 

Sul fronte referendum, Zanetti ha sempre visto l’eccessiva personalizzazione della campagna per il “sì” come “un regalo al fronte del no”: “Metterci la faccia, mettere la fiducia in alcuni passaggi, dire ‘se la riforma viene bocciata me ne vado’, è serio e apprezzabile, ma dirlo una volta basta e avanza, sennò rischi di diventare un autogol”. Ora che Renzi, dopo aver addolcito i toni per qualche giorno, ha nuovamente rilanciato (ieri anche su queste colonne), Zanetti dice: “Concentriamoci sul merito e ricordiamo che questa riforma ha tre pilastri fondamentali: la riduzione del numero dei parlamentari, il superamento del bicameralismo perfetto e la riduzione dei conflitti di competenza stato-regioni. Tre pilastri che, seppure con soluzioni tecniche diverse, erano alla base della riforma bocciata nel 2006. E se è comprensibile e logico che la riforma, oggi, incontri il ‘no’ della sinistra massimalista, della minoranza dem e dei 5 Stelle – realtà che hanno ereditato la contrarietà alla riforma da quello che era il fronte del ‘no’ nel 2006, con cui ideologicamente hanno affinità – troviamo incomprensibile e sconfortante che l’elettorato moderato possa essere spinto a votare ‘no’ da una classe dirigente che dice a parole di rappresentarlo”.

 

Anche se, dice Zanetti, “puntare tutto sul messaggio ‘meno parlamentari e meno costi’, come ha fatto Renzi, significa strizzare più che altro l’occhio a un elettorato leghista e grillino che è improbabile recuperare se metti sul piatto il messaggio ancora più diretto e di pancia della possibilità di mandarti a casa. Insomma, i messaggi non sono proprio azzeccatissimi, ma non votare significa perdere altri 10 anni per fare un dispetto a Renzi, come prima si voleva fare un dispetto a Berlusconi. Dal nostro punto di vista il ‘sì’ alla riforma è a prescindere. Però, proprio perché riteniamo che la vittoria del ‘sì’ sia la cosa più importante, se l’apertura a delle modifiche sulla legge elettorale può aiutare a ridurre l’ampiezza del fronte del ‘no’, allora questo tipo di aperture ci paiono ragionevoli”.

  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.