Matteo Renzi e Sergio Marchionne (foto LaPresse)

O produttività o morte. Il metodo Marchionne ritorna in Confindustria

Claudio Cerasa
La triangolazione tra un presidente degli industriali distante dall’epoca del consociativismo sindacale, un presidente del Consiglio che ha fatto della flessibilità del mercato del lavoro un punto del suo percorso di governo e un imprenditore come Marchionne che vuole modernizzare il sistema industriale ricorda la Germania di Schröder del 2003.

Produttività o morte. Il discorso che il nuovo presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, ha consegnato ieri all’assemblea del sindacato degli imprenditori italiani contiene alcuni passaggi importanti in discontinuità con l’epoca della concertazione di Giorgio Squinzi, mai citato dal suo successore nel discorso di insediamento, che si possono sintetizzare in una frase chiave: è arrivato il momento di dire che “gli aumenti retributivi devono corrispondere ad aumenti di produttività”. Il ragionamento di Boccia è significativo non solo perché il presidente di Confindustria, molto dialogante con il governo e ben predisposto anche sul referendum costituzionale di ottobre, accetta il principio che il salario debba essere legato a un aumento della produzione, ma anche perché Boccia ribadisce che il terreno giusto su cui impostare una nuova stagione nei rapporti tra imprese e governo è quella della contrattazione aziendale, “che deve diventare la sede dove realizzare questo scambio”.

 

L’assist offerto a Renzi da Boccia è chiaro – la contrattazione aziendale, almeno sulla carta, è un punto centrale nell’agenda di governo – così come è chiara la riabilitazione del modello Marchionne, che nell’ottobre 2011 uscì con prepotenza da Confindustria rimproverando all’allora presidente Emma Marcegaglia un immobilismo eccessivo dell’associazione proprio sul tema della flessibilità del mercato del lavoro. La triangolazione tra un presidente di Confindustria che si presenta con un profilo distante dall’epoca del consociativismo sindacale, un presidente del Consiglio che ha fatto della flessibilità del mercato del lavoro un punto del suo percorso di governo e un imprenditore di peso come Marchionne che da tempo indica la direzione da seguire per modernizzare il sistema industriale italiano ricorda un passaggio cruciale vissuto tredici anni fa dalla Germania. Era il 2003 e il cancelliere Gerhard Schröder, grazie all’aiuto e al sostegno dell’ex capo delle risorse umane di Volkswagen Peter Hartz e il capo della Confindustria tedesca Michael Rogowski, riuscì a rompere un tabù del paese e portò la Germania verso una strada rivoluzionaria: la contrattazione decentrata divenne la nuova spina dorsale del sistema industriale tedesco, i sindacati accettarono di legare l’aumento dei salari all’aumento della produttività e nel giro di cinque anni la produttività tedesca riuscì a compiere un balzo in avanti del 36 per cento. L’Italia purtroppo non è la Germania ma le parole offerte ieri da Boccia ricordano quelle offerte nel 2003 da Rogowski. Nel marzo del 2003, Rogowski, poco dopo aver pronunciato una frase passata alla storia (“Bisognerebbe bruciarli tutti questi contratti collettivi!”), chiese al governo di lasciare fare agli imprenditori e di non legiferare sulla contrattazione perché sarebbero state le singole aziende insieme con il sindacato a occuparsene in prima linea. Così fu e un anno dopo Confindustria e sindacato dei lavoratori firmarono in Germania il così detto “Pforzheimer Abkommen”.

 

Lo stesso schema lo propone Boccia. “A malincuore – ha detto il neo presidente – abbiamo accettato la decisione delle organizzazioni sindacali di arrestare questo processo per dare precedenza ai rinnovi dei contratti collettivi nazionali nel quadro delle vecchie regole e adesso non si può interferire con i rinnovi aperti. Quando riprenderemo il confronto, avremo come bussola lo scambio salario/produttività e sarebbe opportuno che le nuove regole fossero scritte dalle Parti sociali e non dal legislatore”. Il confronto si riaprirà nei prossimi mesi e già con il rinnovo dei contratti di Federmeccanica si capirà la concretezza delle intenzioni del nuovo presidente. Boccia dovrà stare attento a non cadere nel tranello di legare, come ha lasciato intendere ieri, la nuova fase di Confindustria all’approvazione di “una politica di detassazione e di decontribuzione strutturali”. Ma la novità è che il metodo Marchionne dopo aver conquistato il governo ha riconquistato anche Confindustria. Applicare il metodo in modo integrale è possibile. Dopo il Jobs Act serve sfidare Cgil e Fiom superando i contratti nazionali. Basta volerlo. Non ci sono scuse. O produttività o morte. Auguri.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.