Clemente Mastella (foto LaPresse)

Il labirinto di Clemente

Da Prodi a Grillo, la terzietà del giudice è un miraggio. Parla Mastella

Luciano Capone
Imparzialità e durata dei processi viste dall’ex Guardasigilli finito nel mirino delle toghe amiche di De Magistris

Roma. “C’è qualcuno in Italia che può dare giudizi morali? Pensa che Grillo, Nogarin, il sindaco di Parma o il Pd possono dare giudizi su di me?”. Clemente Mastella, a lungo bersaglio delle campagne giustizialiste, osserva senza gioire lo spettacolo degli ex inquisitori, oggi vittime del giacobinismo usato contro di lui: la sinistra scopre le ragioni del garantismo e il cieco giustizialismo grillino vacilla con il Sacro blog che assolve Nogarin a Livorno e sospende Pizzarotti a Parma, entrambi indagati.

 

La vicenda giudiziaria di Mastella, che si trascina da ormai quasi 10 anni tra archiviazioni e proscioglimenti senza uno straccio di condanna, è emblematica dei problemi della giustizia italiana e del cortocircuito politica-magistratura, soprattutto perché non finisce mai. L’ultima puntata è una condanna di risarcimento di circa 7 mila euro nei confronti del nemico Luigi de Magistris in una vicenda che è paradossale: Mastella aveva querelato l’ex pm per diffamazione per alcune dichiarazioni ai giornali e alla fine si trova a doverlo risarcire. La cosa più strana però è che il magistrato che ha espresso il giudizio, Ida Moretti, era una collega di De Magistris a Catanzaro e firmò un appello in favore del pm e contro Mastella quando l’allora ministro della Giustizia chiese al Csm il trasferimento cautelare di De Magistris per la gestione di “Toghe lucane” (un’inchiesta che si rivelerà un flop completo). “Il cittadino finisce in un labirinto senza possibilità di potersi difendere – dice Mastella al Foglio – Non c’è terzietà, se mi avesse giudicato allo stesso modo un altro giudice ci sarei rimasto male, ma non avrei potuto dire nulla. Ma come si fa ad accettare un giudizio del genere?”.

 

L’impressione è che la sentenza fosse già scritta. “Chi mi ha giudicato non solo era collega di De Magistris, ma nell’ottobre 2007, quando mandai l’ispezione a Catanzaro, ha firmato un documento insieme a 200 magistrati in favore di De Magistris e contro il ministro Mastella. E adesso si presenta tranquillamente a decidere contro di me e a favore di De Magistris. Quantomeno si sarebbe dovuta astenere. Io l’ho scoperto solo ora, altrimenti l’avrei ricusata”.

 

Mastella parla di un “labirinto” da cui non riesce a uscire e in cui è entrato quando ha iniziato a fare il ministro della Giustizia nel governo Prodi: “Prima non ho avuto mai nulla, in tanti anni neppure mezzo avviso di garanzia. Sono stato messo sotto scacco da alcuni magistrati della cordata di De Magistris, dai tre quarti di quelli che avevano firmato il documento contro di me, in cui dicevano che limitavo la libertà della magistratura, come hanno potuto giudicarmi con serenità?”. La campagna politica ha prodotto i suoi effetti, sia sulla caduta del governo Prodi, sia sulla vita politica di Mastella, descritto come il capo di un’associazione a delinquere. “Hanno tentato di ammazzarmi politicamente e ci sono riusciti. Per me è valsa la presunzione di colpevolezza perché sono un politico. Ma non è rimasto in piedi niente, solo un’accusa di concussione nei confronti di Bassolino su cui Bassolino ha dichiarato di non essere stato concusso e non è mai stato sentito dalla procura. Sono passati 10 anni. E vogliono darmi la stessa pena che tocca a un omicida”. All’epoca, quando tutto cominciò, nel centrosinistra prevaleva il giustizialismo e Mastella fu scaricato da tutti. “Oggi le cose sono un po’ cambiate con Renzi, allora mi lasciarono solo. A fianco a me in Parlamento c’era solo Chiti ad ascoltare la mia difesa, gli altri scomparvero”. Ora a sinistra c’è un atteggiamento diverso: “Adesso che tocca loro sì. E’ come con il cancro, fino a quando non lo patisci non ti rendi conto di cosa sia”. Ma quindi il garantismo della sinistra di Renzi è solo opportunismo o indica una maturazione e una riflessione più profonda sui problemi della giustizia? “Riflettono, ma su cosa? Vogliono fare la prescrizione lunga che è un’altra sciocchezza. Bisogna fare i processi brevi, non la prescrizione lunga. Io avevo stabilito un principio, che i giudici dovevano chiudere i processi in cinque anni: due per il primo grado, due per il secondo e uno per la Cassazione. La prescrizione lunga non farà che allungare i processi”. Ma anche i magistrati dicono di volere processi brevi. “Hanno ragione, è il legislatore che non interviene. Solo che quando io ho provato a farlo loro mi hanno fottuto”.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali