Foto LaPresse

Due chiacchiere col ministro

Pinotti ci spiega perché l'Italia è così prudente quando si parla di Libia

Paola Peduzzi
L’attesa per il voto di fiducia al governo Serraj, il secco “no” sulla presenza militare italiana e i segnali incoraggianti: “La prudenza italiana è dettata dal fatto che la situazione è ancora molto fragile”.

Milano. La settimana del ministro della Difesa Roberta Pinotti è iniziata “con una bella notizia”, dice al Foglio, riferendosi alla decisione della corte arbitrale sul rientro in Italia del marò Salvatore Girone – “le condizioni specifiche saranno concordate tra Italia e India” – in attesa dell’esito dell’arbitrato presso il Tribunale dell’Aia che deciderà a quale paese spetta l’esercizio della giurisdizione sulla petroliera Enrica Lexie e su quel che accadde nel 2012. “Siamo fiduciosi”, dice Pinotti, che su questa questione mostra un ottimismo maggiore rispetto a tanti altri temi affrontati durante la nostra conversazione.

 


Il ministro della Difesa Roberta Pinotti (foto LaPresse)


 

Prima di tutto: la Libia. “La prudenza italiana è dettata dal fatto che la situazione è ancora molto fragile”, dice il ministro riprendendo quanto detto ieri mattina dal premier Matteo Renzi sul “no” dell’Italia a una missione militare in Libia. “Il processo di stabilizzazione politica è avviato, ma finché il Parlamento non dà la fiducia al governo, il primo ministro non può formulare richieste concrete alla comunità internazionale”. S’attende quindi, continuando con “gli aiuti umanitari”, smentendo le voci su una presenza militare italiana in Libia – “Non ci sono nostre forze armate sul terreno”. Nemmeno all’aeroporto internazionale di Bengasi? “No” – e ridimensionando le notizie che arrivano dall’est della Libia che parlano di un tentativo sempre più aggressivo da parte del generale Haftar e del governo di Tobruk di boicottare l’esecutivo di Tripoli: “L’Italia considera un errore la possibilità che la Libia si divida – dice Pinotti – E anche i libici esprimono la volontà di rimanere uniti”. Ci possono essere “altri attori con interessi diversi”, spiega il ministro, ma non valgono quanto la determinazione della comunità internazionale, via Onu, di far funzionare il governo di unità del premier Serraj. La stabilizzazione di questo interlocutore è decisiva anche per poter agire contro gli scafisti e contenere il flusso di migranti sulle coste italiane: “Un paio di settimane fa i ministri degli Esteri e della Difesa europei si sono trovati d’accordo nel richiedere un allargamento della missione Sofia, con la possibilità di intervenire a sostegno della guardia costiera libica”. Si deciderà a giugno, al Consiglio europeo, mentre l’Italia lavora assieme al gruppo di contatto sulla Libia per ottenere dall’Europa il mandato a una regia unica “strategico-politica” delle missioni in corso nel Mediterraneo gestite anche della Nato.

 

Per il momento l’investimento militare più importante nella regione riguarda la lotta allo Stato islamico nella coalizione internazionale, “abbiamo circa 900 persone mobilitate, compresi i mezzi e il personale dedicati alla ‘personal recovery’”. Pinotti spiega che, in seguito alle richieste francesi dopo gli attentati di Parigi, l’Italia ha messo a disposizione mezzi e uomini per le operazioni di salvataggio. In parole semplici: se accade qualcosa a soldati che combattono contro lo Stato islamico, l’Italia può essere chiamata per riportare il personale alla base. Missioni pericolose, no? “Direi delicate – dice il ministro, che in quanto a pericolosità ha una soglia forse più alta della media dato il ruolo che svolge – ma la capacità tecnica c’è, e i militari italiani per queste missioni sono tra i migliori. Poi non è detto che succeda”. La prudenza è invincibile, così come sottolineare i passi in avanti, rassicuranti. Con la Russia, per esempio. “Si è tenuta per la prima volta da due anni la riunione tra Nato e Russia. Le divergenze ci sono state, certo, ma il segnale è incoraggiante”. Su questo Pinotti non ha esitazioni, “senza Russia e Iran in Siria non si può ottenere granché”, la costruzione di una “strategia condivisa” tra Washington e Mosca è e sarà inevitabile.

Di più su questi argomenti:
  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi