Seduta in Senato per discutere gli emendamenti sulla riforma costituzionale (foto LaPresse)

Il referendum sulla Costituzione dirà se la lunga transizione deve finire

Sergio Soave
La riforma che cambia l'Italia nel libro di Stefano Ceccant.

Stefano Ceccanti, già parlamentare del Partito democratico, ha raccolto in un volume (“La transizione è (quasi) finita. Come risolvere nel 2016 i problemi aperti 70 anni prima. Verso il referendum costituzionale”, Giappichelli, 122 pp., 11 euro) le tre relazioni che aveva svolto nella sezione di diritto pubblico della Société de Législation Comparée di Parigi, dedicate ai cambiamenti costituzionali, alla legislazione delegata e al bicameralismo. Ha integrato questi testi con una corposa premessa che emette in relazione tali studi con la situazione determinata dalla presenza di una riforma costituzionale in attesa di ratifica referendaria e un omaggio al metodo “combinatorio” di Maurice Duverger.

 

La tesi di fondo è che la riforma approvata dal Parlamento corregge errori e riempie pagine lasciate bianche dai costituenti settant’anni fa, nonostante molti di loro fossero coscienti di quelle lacune. Su questo punto fa valere il metodo Duverger, dando conto di come le esigenze del sistema politico interno e internazionale abbiano condizionato l’assetto istituzionale, in Francia come in Italia. La Costituzione vigente ha rappresentato il compromesso possibile tra soggetti politici che militavano in opposti campi internazionali durante la Guerra fredda e ha perso la sua efficacia quando, con la caduta del muro di Berlino, sono mutati i riferimenti esterni. Appaiono interessanti le ricostruzioni dei processi politici contraddittori che portarono alla definizione del bicameralismo ripetitivo (nonostante che il Pci all’inizio preferisse un monocameralismo “giacobino”) o alla istituzione delle regioni, rivendicata dalla Dc in base a un principio sturziano e osteggiata dalle sinistre, ma poi rinviata per ventidue anni e imposta dal Psi.

 

Sono esaminate anche le scappatoie, decretazione d’urgenza e leggi delegate, che furono – e lo sono ancora – messe in atto con scarso rispetto del dettato costituzionale. L’esame delle varie iniziative di riforma costituzionale fallite, seppure condotto in modo un po’ unilaterale (la riforma del centrodestra è liquidata come inadeguata in poche parole) serve però a dare conto di come l’assetto politico abbia agito da freno nella necessaria opera di ammodernamento della Costituzione. La riforma attualmente in attesa di verifica referendaria pare invece a Ceccanti una buona soluzione, anche se muove diverse critiche, come quella al quorum troppo alto richiesto per l’elezione del presidente dalla Repubblica. Il volume sembra rivolto ai settori conservatori “istituzionali”, secondo i quali la riforma rappresenta un tradimento o almeno un travisamento della volontà dei costituenti.

 

Da questo punto di vista, l’analisi delle incongruenze di un sistema che impedisce o comunque ostacola le capacità decisionali del governo è molto precisa e rappresenta una buona argomentazione per il premierato forte che esce dalla riforma e dalla legge elettorale. Meno convincente, invece, può essere questa argomentazione per chi critica “da destra” la riforma, proprio perché tutto il ragionamento si svolge all’interno della logica del cosiddetto arco costituzionale, al punto da trascurare le proposte presidenzialiste di Randolfo Pacciardi, la grande riforma vagheggiata da Bettino Craxi, le “picconate” di Francesco Cossiga.