Carabinieri sequestrano una partita di droga (foto LaPresse)

Indagini e provocazioni

Luciano Capone
Gli agenti provocatori spiegati a chi ha reso impossibile la vita agli agenti provocatori. Parla Mori: “Esserci arrivati venti anni prima di Davigo e Cantone è una grande soddisfazione, siamo stati degli antesignani e chi all’epoca ci attaccò ora dovrebbe darci ragione”

Roma. “Esserci arrivati venti anni prima di Davigo e Cantone è una grande soddisfazione, siamo stati degli antesignani e chi all’epoca ci attaccò ora dovrebbe darci ragione”. Il generale Mario Mori, ex capo dei servizi segreti, si riferisce alla proposta rilanciata recentemente sia dal neo presidente dell’Associazione nazionale magistrati sia dal presidente dell’authority anticorruzione di introdurre la figura dell’agente infiltrato o dell’agente provocatore nella lotta alla corruzione. L’episodio è stato ricordato ieri da Repubblica e risale al 1996, quando Mori, ai vertici del Ros, ha l’intuizione di usare un agente sotto copertura per scoprire l’intreccio corruttivo che si era raccolto attorno alla Tav: “Abbiamo applicato venti anni fa quella tecnica investigativa sulla turbativa degli appalti della Tav Roma-Napoli – dice Mori al Foglio – Come Ros proponemmo alla procura di Napoli l’idea di un agente sotto copertura: un nostro ufficiale si sarebbe inserito, come rappresentante delle imprese che concorrevano a quegli appalti, nel contesto criminale che si era già delineato, per parlare di tangenti e corruzione. La proposta venne accolta dai magistrati Agostino Cordova e Paolo Mancuso. Su quella tratta c’erano stati atti di sabotaggio che mostravano come la criminalità organizzata fosse già presente e interessata, eravamo solo entrati in quel sistema di pressione e collusione con la politica che si sarebbe messo in funzione poco dopo”.

 

Finì con un caso politico. Quando saltarono fuori i nomi dei politici, ci furono pesanti critiche perché si riteneva ci fosse stata un’istigazione a delinquere. “Ci attaccarono pesantemente chiedendo le mie dimissioni, ci furono lamentele a livello politico, ma forse adesso si sono accorti con ritardo che era uno strumento utile. In quel caso c’era un terzetto composto da camorra, imprenditoria e politica e tutte e tre vennero identificate nel tempo con una serie di informative. Era tutto regolarmente concordato e preventivamente stabilito con l’autorità giudiziaria e penso che si possa fare anche adesso. Alla fine furono puniti solo camorristi e imprenditori”.

 

La critica principale che viene rivolta a questo tipo di operazione è che l’agente provochi un reato che altrimenti, probabilmente, non si sarebbe verificato. “L’agente infiltrato – spiega il generale Mori – è spesso assimilato all’agente provocatore che induce a commettere un reato, ma l’infiltrato è colui che entra in un’attività ritenuta criminale e può al limite attivare e determinare alcune attività dell’organizzazione, riferendo gli sviluppi alla polizia giudiziaria. In Italia questa figura è nata nel ’90 con la legge antidroga, poi è stata estesa al traffico d’armi e alla prostituzione, oramai ha un ruolo ben definito”. Se ne riparla dopo due decenni, ma quell’episodio è rimasto un unicum. Nessuno ha più provato a riutilizzarlo? “Fu un caso singolare, non mi pare abbia avuto repliche, sia perché ci siamo interessati di altro sia perché c’erano state delle polemiche che era meglio evitare. Fu però un caso di scuola, la Federico II di Napoli lo mise come argomento di studio nella facoltà di Economia. Sono soddisfatto che adesso si giunga alle nostre stesse conclusioni”.

 

Potrebbe funzionare anche per la corruzione o c’è il rischio che l’estensione degli agenti infiltrati si presti ad abusi? “Se viene codificato e gestito con norme ben precise è utile per realizzare un’attività investigativa adeguata ai tempi. Leggo che si vogliono usare agenti dei servizi segreti anziché la polizia giudiziaria, non sono cose che possono fare la stazione o il commissariato locale, c’è bisogno di personale qualificato”.Questo strumento più puntuale e specifico potrebbe servire per sostituire metodi d’indagine a più ampio spettro che spesso provocano effetti collaterali maggiori, come le intercettazioni? “Reparti specializzati e attività selettive possono servire a migliorare il lavoro investigativo che spesso abusa di attività a strascico in cui incappano in maniera pesante persone innocenti. Con attività selettive e investigatori selezionati si potrebbe evitare che le indagini vengano affidate a chi non ha una qualifica e può portare con le sue valutazioni i magistrati a qualche uscita a vuoto”.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali