Manuel Valls, Matteo Renzi e David Cameron

Italia, Francia, Inghilterra. Quattro parole chiave per non perdersi nel nuovo bipolarismo

Claudio Cerasa
Realtà politiche teoricamente lontane l’una dall’altra (centrodestra e centrosinistra; estrema destra ed estrema sinistra) oggi sembrano vivere all’interno di una stessa orbita. La “distruzione creatrice” di Schumpeter per capire le vere divisioni della politica italiana e non solo.

Sarà l’effetto del referendum, anzi dei referendum, e sarà forse l’effetto del combinato disposto del voto sulle trivelle, più il voto sul referendum costituzionale, più il voto del referendum su Brexit. Sarà forse la conseguenza di un nuovo clima politico, della fine del bipolarismo tradizionale, del rimescolamento di idee, di partiti, di politici, di movimenti, di prospettive, di direzioni, ma in questa nuova cornice all’interno della quale si muovono i protagonisti della vita politica italiana, da Renzi a Grillo passando per Berlusconi, Salvini, Di Maio, Meloni e tutti gli altri, il fatto è che le vecchie divisioni tra partiti oggi risultano fragili non perché, come direbbero all’osteria, destra e sinistra non ci sono più, signora mia, ma perché, accanto ai concetti tradizionali, destra e sinistra, ci sono alcune direttrici nuove, cruciali, centrali che hanno un impatto sempre più forte sulla testa degli elettori quando si ritrovano a dare il proprio voto a un politico oppure a un altro. Destra e sinistra contano ancora, eccome, nella scelta di un candidato e ci sono ancora molti temi – dall’approccio sull’immigrazione al rapporto con l’islam, dalle strategie sul terrorismo alla divisione tra partito della spesa e partito del risparmio – che vengono declinati in modo differente dalle due grandi famiglie politiche. Ma il problema è che destra e sinistra non sono sempre sufficienti per spostare da una parte o dall’altra il voto di un elettore. Oggi, e la politica quotidiana lo dimostra, in Italia e in tutto il resto d’Europa, forse del mondo, gli ingredienti del nuovo bipolarismo sono diversi e la divisione tra un pensiero politico e un altro, soprattutto nel nostro paese, dipende da nuovi fattori che hanno l’effetto di smuovere le coscienze degli elettori.

 

Per semplicità ne potremmo selezionare quattro, di macro partiti: il partito dell’euro contro il partito no euro; il partito della piena governabilità contro il partito della minore governabilità; il partito del garantismo contro il partito del giustizialismo; il partito del diritto alla produttività contro il partito dei diritti dei lavoratori. Sul futuro della prima partita (euro vs no euro) molto si capirà alla fine di giugno in seguito all’esito del referendum su Brexit e non c’è dubbio che in caso di rottura dell’attuale schema europeo, e in caso di non permanenza del Regno Unito all’interno dell’Unione, i movimenti anti sistema potrebbero avere più possibilità di accreditarsi nei rispettivi paesi, organizzando anche speculari campagne referendarie. Sintesi dello scontro: possiamo continuare ad avere fiducia nella capacità dell’Europa di essere lo strumento con cui risolvere i nostri problemi o dobbiamo iniziare a pensare che sia vero il contrario, ovvero che sia l’Europa il nostro problema principale?

 

Sul secondo punto (governabilità non governabilità) la sfida che si gioca oggi, stavolta solo in Italia, è collegata direttamente all’esito del referendum costituzionale e in quell’occasione Renzi avrà gioco facile nel dividere il terreno di gioco tra chi vuole rendere più snello il sistema istituzionale italiano, e dunque più governabile, e chi invece considera necessario per il buon funzionamento del sistema non avere un sistema che permetta a chi governa di governare nel modo più libero possibile. E che la sfida del referendum di ottobre si giochi lungo questo confine lo riconoscono gli stessi aderenti al comitato del no. “La cosiddetta governabilità come valore assoluto – ha scritto nero su bianco qualche settimana fa un magistrato segretario regionale dell’Anm, quello del Trentino, Pasquale Profiti, per spiegare le ragioni del no al referendum costituzionale – non solo non risolve nulla dei mali di una collettività, ma è pregiudizievole al suo sviluppo sociale ed economico, oltre che istituzionale”. Sintesi dello scontro: possiamo continuare a vivere in un paese che non permette a chi governa di governare senza lacci e lacciuoli o, viceversa, i lacci e lacciuoli sono l’essenza di un sistema democratico?

 

Il tema numero tre, la divisione tra partito del garantismo e partito del giustizialismo, si collega al tema numero due non solo perché una buona parte della magistratura italiana sembra essere particolarmente ben predisposta verso il no al referendum costituzionale di ottobre ma anche perché la divisione tra questi due partiti – tra chi vede il mondo forte della convinzione che la magistratura debba esercitare un ruolo da custode del codice morale e non solo del codice penale e chi vede il mondo forte della convinzione che la magistratura deve occuparsi solo dei reati e non dei peccati – costituisce il tema centrale delle nostre vite da quasi venticinque anni. Sintesi dello scontro: è giusto che le decisioni politiche siano prese in conformità totale a ciò che prevede l’ideologia del partito delle procure o è preferibile che la politica si ritagli un suo spazio di autonomia per ristabilire un nuovo equilibrio tra potere esecutivo e potere giudiziario?

 

[**Video_box_2**]Il quarto punto, non meno importante degli altri, è legato al tema dei temi, che riguarda stavolta non solo l’Italia ma anche altri paesi importanti del continente, come per esempio la Francia. Tema: è possibile oppure no, in una fase come quella che viviamo, con nuovi approcci industriali, nuove logiche di produzione, nuovi mercati che si aprono, nuovi criteri con cui si vanno a configurare domanda e offerta, ha senso o no, in questo contesto, difendere granitiche rendite di posizione, garantite spesso dai sindacati, e non rendere il più possibile flessibile il mercato del lavoro rinunciando a legare in modo definitivo ciò che si guadagna a ciò che si produce? Sintesi dello scontro: è giusto rinunciare ad alcuni antichi diritti che riguardano il posto di lavoro per aiutare le imprese, e anche gli stessi lavoratori, a creare più lavoro? Messi così, forse, i temi possono sembrare appartenenti a mille galassie diverse e a mille sfere politiche differenti. Ma se vi fermate un attimo a pensare e a ragionare su quali sono oggi le vere e sostanziali divisioni del mondo politico vi renderete conto non solo di come funziona il nuovo bipolarismo ma anche perché realtà politiche teoricamente lontane l’una dall’altra (centrodestra e centrosinistra; estrema destra ed estrema sinistra) oggi sembrano vivere all’interno di una stessa orbita. Il famoso economista austriaco Joseph Schumpeter utilizzava, a metà del Novecento, l’espressione “distruzione creatrice” per indicare il processo evolutivo dell’economia capitalistica, all’interno del quale “innovazioni tecnologiche e gestionali trasformano il ciclo produttivo, scompaginando l’equilibrio dei mercati ed eliminando le imprese incapaci d’innovare”. Lo stesso concetto, oggi, potrebbe essere applicato al mondo della cosa pubblica. E senza mettere a fuoco la distruzione creatrice che ha colpito il sistema dei partiti oggi, forse, è impossibile capire quali sono le vere divisioni della nostra politica, e probabilmente non solo quella italiana.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.