Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama (foto LaPresse)

Anche il Senato si schiera contro Obama sugli aiuti militari a Israele

Luca Gambardella
Una lettera firmata da gran parte dei senatori chiede al presidente americano un impegno economico più deciso per sostenere la Difesa di Gerusalemme. I numeri di un accordo che rischia di saltare e la solita querelle diplomatica tra Barack e Bibi

Il Senato americano prende una posizione netta nella querelle diplomatica tra il presidente americano Barack Obama e il suo omologo israeliano Benjamin Netanyahu a proposito dell’accordo sugli aiuti per la Difesa. Un’esclusiva di Reuters ha reso pubblica parte di una lettera indirizzata dal Senato alla Casa Bianca in cui si chiede al presidente di sottoscrivere in tempi rapidi il memorandum sugli aiuti americani alla Difesa israeliana. La richiesta bipartisan è sottoscritta da ben 83 senatori su 100, quattro quinti della Camera alta americana; primi firmatari sono il senatore repubblicano Lindsey Graham e il democratico Chris Coons. Tra di loro risulta anche il nome di Ted Cruz, in corsa alle primarie repubblicane, mentre tra i 32 democratici che aderiscono all’iniziativa manca Bernie Sanders. “Alla luce dell’aumento deciso delle sfide per la Difesa israeliana, siamo pronti a sostenere un accordo di lungo tempo sostanzialmente migliore per fornire a Israele le risorse di cui ha bisogno per difendere se stesso e preservare il suo livello militare”, recita la lettera dei senatori.

 

Le distanze economiche tra Washington e Gerusalemme sull’ammontare degli aiuti militari avevano indotto alcuni funzionari israeliani a ipotizzare che un nuovo accordo non sarebbe stato concluso entro la fine del mandato di Obama. L’offerta americana parte dai 30 miliardi di dollari già previsti dall’accordo decennale siglato nel 2007 e in scadenza l’anno prossimo. Il nuovo pacchetto prevede aiuti pari a circa 3,7 miliardi di dollari l’anno, per un totale di quasi 40 miliardi in 10 anni. Ma a irritare Israele è l’aggiunta di una serie di caveat che di fatto modifica al ribasso l’attuale memorandum. Tra i nodi principali c’è la voce delle spese straordinarie: secondo la nuova proposta americana, il Congresso potrà decidere per un surplus rispetto al budget garantito dal Dipartimento di stato e dal Pentagono solo in casi limitati di estrema emergenza. Dietro la decisione della Casa Bianca di contenere le spese ci sono due tipi di valutazioni, una economica e un’altra più politica. In base alla prima, l’Amministrazione americana ha fatto notare che negli ultimi anni gli aiuti extra garantiti a Israele e votati dal Congresso hanno ecceduto del 100 per cento il budget previsto dalla presidenza. Solo nel 2009, le spese hanno sforato di 1,9 miliardi di dollari quanto preventivato dall’Amministrazione. A dicembre del 2015, il Congresso aveva votato a larga maggioranza per l’approvazione di un finanziamento pari a 487 milioni di dollari per il potenziamento del sistema missilistico israeliano, oltre quattro volte quanto previsto dal Pentagono. La lettera sottoscritta ora al Senato verte anche sulla questione del potenziamento del sistema Iron Dome: mentre Obama aveva predisposto 150 milioni di dollari nel nuovo pacchetto di aiuti, i senatori chiedono uno sforzo ben maggiore, di svariate “centinaia di milioni di dollari”, come riporta Reuters.

 

Le richieste israeliane, di contro, sono ben maggiori: Gerusalemme chiede una somma compresa tra i 4 e i 4,5 miliardi di dollari l’anno, senza contare i contributi per lo sviluppo dei sistemi missilistici. Quando il vicepresidente americano Joe Biden si è recato in Israele lo scorso marzo, nel tentativo di riallacciare i contatti tra Obama e Netanyahu (qualche giorno prima il premier israeliano aveva alimentato le tensioni diplomatiche cancellando la sua visita al capo della Casa Bianca a Washington), buona parte delle discussioni hanno affrontato il problema del memorandum sulla Difesa. In quell’occasione, Biden aveva insistito che ciò che conta non è l’ammontare totale dell’accordo, ma come quel denaro è utilizzato. La questione, secondo alcuni funzionari americani sentiti lo scorso febbraio dal Washington Post, verte su “quanto Israele è disposta a spendere nel mercato dei contractor americani per la Difesa e quanto su quello israeliano”. Al momento, gli Stati Uniti restano per Gerusalemme il primo paese fornitore di sistemi d’arma. Una delle transazioni più recenti ha riguardato quella per i caccia F-35 e F-16 (ogni F-35 costa all’incirca 110 milioni di dollari).

 

Ma qui si arriva alla questione politica. La controparte israeliana ha risposto che i tempi sono cambiati e le minacce, dal 2007 a oggi, sono aumentate. Hezbollah in Siria e in Libano, lo Stato islamico nella penisola del Sinai, Hamas a Gaza mettono in pericolo l’esistenza dello stato ebraico. Ma soprattutto c’è l’Iran e la decisione da parte della comunità internazionale di porre fine alle sanzioni. Una decisione che, accusa Netanyahu, è stata alimentata proprio da Obama.

  • Luca Gambardella
  • Sono nato a Latina nel 1985. Sangue siciliano. Per dimenticare Littoria sono fuggito a Venezia per giocare a fare il marinaio alla scuola militare "Morosini". Laurea in Scienze internazionali e diplomatiche a Gorizia. Ho vissuto a Damasco per studiare arabo. Nel 2012 sono andato in Egitto e ho iniziato a scrivere di Medio Oriente e immigrazione come freelance. Dal 2014 lavoro al Foglio.