Il premier Matteo Renzi (foto LaPresse)

The Shadow of Vasto. Brividi

Claudio Cerasa
Stop Emiliano. Stop Landini. Stop avversari finti. Perché l’affermazione di  un centrodestra alternativo a quello all’amatriciana romano con contorni di pajata salviniana e scottadito meloniano potrebbe far bene a Renzi e al paese.

In diversi paesi anglosassoni, dal Regno Unito fino all’India passando per l’Australia, la Nuova Zelanda e persino per il Canada, che pur non essendo anglosassone adotta da tempo il modello costituzionale inglese, il ruolo dell’opposizione ha uno status ufficiale, chiaro, definito, che viene disciplinato dalla stessa Costituzione. Il modello anglosassone, come molti altri che hanno mutuato quest’esperienza, permette, naturalmente, a chi si oppone a un governo di criticare liberamente chi si trova sulla plancia di comando ma costringe chi si oppone a un esecutivo a considerare ogni giorno se stesso come parte di un unico sistema all’interno del quale i successi dell’opposizione non sono un regalo o una concessione al governo ma sono un regalo alla stessa opposizione e ovviamente anche al paese. In questi paesi, di solito, il leader dell’opposizione viene considerato a tutti gli effetti un primo ministro alternativo, e in alcuni casi il primo ministro alternativo incalza il governo attraverso un governo ombra: lo shadow cabinet. Lo shadow cabinet non permette di evitare del tutto che nella scena politica ci siano insulti, botte, rutti e altre forme creative di opposizione ma consegna al paese un contesto in cui chi si trova al governo, essendo incalzato da un’opposizione che punta a governare e a essere alternativa, è costretto a dare il meglio di sé, a non fare quello che vuole e, di conseguenza, a non sbagliare nulla. Di solito funziona. E di solito funziona meglio di un sistema, come quello italiano, come quello attuale, in cui l’opposizione non esiste, se esiste non si vede, se si vede è meglio far finta di nulla, se non si fa finta di nulla si rischia di svenire, e in cui non solo  è complicato, dopo la decadenza dal Senato di Berlusconi, dire chi sia il capo dell’opposizione (Di Maio? Brunetta? Di Battista? Speranza? Bersani?) ma è anche facile dire, e riconoscere, che il capo dell’opposizione, di giorno in giorno, se lo sceglie direttamente il presidente del Consiglio. Un giorno è Landini. Un giorno è Mineo. Un giorno è Brunetta. Un giorno è Salvini. Un giorno è Davigo. Un giorno è Emiliano. Un giorno è Camusso. Un giorno è Di Maio. Si potrebbe sorridere a lungo sul fatto che, effettivamente, l’attuale squadra degli oppositori a Renzi sembra essere stata selezionata all’interno di un casting condotto dai finanziatori della Leopolda (scegli anche tu il miglior capo dell’opposizione x-factor free).

 

Ma, alla lunga, la presenza in Italia non di un governo ombra ma dell’ombra di un’opposizione rischia di essere un problema non da poco non solo per le opposizioni ma anche per lo stesso governo, a meno che non si voglia considerare il girotondo dei No Triv e dei no Cost e dei no Gov qualcosa di diverso da una sgangherata armata Brancaleone. L’assenza di un vero interlocutore all’opposizione, al di là dell’ironia, in vista di una futura competizione elettorale non può che essere un vantaggio per Renzi ma nell’attesa che le Camere vengano sciolte non avere un’opposizione seria e strutturata che faccia concorrenza al presidente del Consiglio (come accadde nel 2011 ai tempi di Berlusconi, con l’opposizione al Cav. che non riuscì a inventarsi qualcosa di più consistente di una spaventosa foto a Vasto) è un punto di debolezza per lo stesso presidente del Consiglio, che non avendo alternative può permettersi di non dare il massimo, sapendo che nella peggiore delle ipotesi contro di lui ci sarà solo una qualche inutile e controproducente mozione di sfiducia.

 

Paradossalmente (provocazione), se le elezioni di Milano non fossero considerate un referendum sul renzismo, si potrebbe dire che l’affermazione di un centrodestra moderno, desalvinizzato, alternativo a quello caciarone e all’amatriciana romano con contorni vari di pajata salviniana e scottadito alla meloniana, potrebbe persino far bene al governo Renzi e anche al paese. Un centrodestra unito, forte, sarebbe un contrappasso perfetto. Un sogno. E non serve necessariamente il patto del Nazareno (magari…). Serve un’opposizione che funzioni e che dimostri, finalmente, di essere il contrario di uno Shadow Of Vasto. Brividi.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.