Piercamillo Davigo, presidente dell'associazione nazionale magistrati (foto LaPresse)

Adesso che Davigo è capo dell'Anm posso smettere di comprare Topolino

Guido Vitiello

Rassegniamoci stoicamente a chiamarla Tangentopoli perché, come si dice, il destino guida chi lo asseconda ma trascina a forza i riluttanti. Quanto più il 1992 si allontana nel tempo, tanto più cresce il vizio di leggere i problemi della giustizia e della corruzione alla luce non già dei grandi classici del pensiero politico ma dei Grandi Classici Disney

Rassegniamoci stoicamente a chiamarla Tangentopoli perché, come si dice, il destino guida chi lo asseconda ma trascina a forza i riluttanti. Per anni ho aggirato quella detestabile formula giornalistica, ricorrendo a tutte le perifrasi e le circonlocuzioni del caso, ma è arrivato il momento di capitolare. Quanto più il 1992 si allontana nel tempo, tanto più cresce il vizio di leggere i problemi della giustizia e della corruzione alla luce non già dei grandi classici del pensiero politico ma dei Grandi Classici Disney. Tangentopoli si è aggiunta ormai alle due capitali di quel regno di fantasia, Paperopoli e Topolinia, dove s’incontrano personaggi come il commissario Basettoni, l’ispettore Manetta, la Banda Bassotti e l’avvocato Cavillo Busillis. Niente di nuovo, si potrà obiettare, ci sono disneyani di lungo corso – Travaglio con i suoi monologhi teatrali tanto amati dalle scolaresche, l’ex magistrato Bruno Tinti che invocava tempo fa un “partito delle guardie” nel paese dei ladri – ma lo spirito dei fumetti vive in questi giorni la sua grande rivincita.

 

E’ stata una settimana campale per il fanciullino che alberga in me. Mercoledì ho preso in edicola il nuovo numero di Topolino. Venerdì, su Repubblica, ho letto un editoriale di Stefano Rodotà che si apriva recuperando l’“Apologo sull’onestà nel paese dei corrotti” – una fantasia un po’ bolsa da maestro elementare dove Italo Calvino, nel 1980, descriveva una società retta dal malaffare al cui margine resiste una “controsocietà degli onesti” – e si chiudeva biasimando chi se la prende con la magistratura e i moralisti, “quasi che insistere sull’etica pubblica fosse un attacco alla politica e non la via per la sua rigenerazione”. L’ipotesi che qualcuno possa aver da ridire sull’azione dei magistrati in nome di quella stessa etica pubblica non arrivava a turbare la semplicità gioconda dello schema di Rodotà – e dire che perfino nell’apologo di Calvino, a leggerlo bene, c’erano spunti per un ragionamento meno paperopolitano.

 

Passa appena un giorno, e il 9 aprile Piercamillo Davigo diventa presidente dell’Anm. Ora, devo confessare che Davigo ha da sempre, ai miei occhi, il fascino degli eroi dell’infanzia. Sarà per quel suo bel faccione da bebé, tra Elmer Fudd e Ciccio di Nonna Papera; sarà perché l’anno scorso ha aderito alla Disneyland politica della “Notte dell’Onestà” grillina; sarà perché il suo epiteto di Dottor Sottile, fatte salve le competenze giuridiche, riesco a spiegarmelo solo in una logica da fumetto, la stessa per cui, poniamo, un camionista di tre quintali è soprannominato lo Smilzo. La visione del mondo di Davigo, ribadita in mille apparizioni televisive, non mi pare proprio un esempio di sottigliezza: è quella del magistrato come buon padre di famiglia che dà uno scappellotto al figlio che ha rubato la marmellata. Più o meno la stessa filosofia di una canzone che ascoltavo da bambino, Johnny Bassotto (“Che poliziotto Johnny Bassotto, con le manette arresta la tua fantasia; ti fa svegliare e confessare tutto quel che hai combinato, tu da solo o in compagnia”; e ha anche “un pappagallo che gli fa da radiospia”).

 

Davigo d’altronde è uomo di spirito, e un paio d’anni fa, nella prefazione a un libro di Enzo Beretta, “Favole alla sbarra. Processo ai buoni e ai cattivi dei cartoni animati”, si chiedeva: “Che ne sarà di soggetti come il Gatto e la Volpe? E la condotta del Grillo parlante è lineare? In Biancaneve i sette nani sono simpatici, ma bisognerà pure porsi delle domande sulla liceità della costruzione della loro casetta nel bosco”. Ora che Davigo è presidente dell’Anm, il dibattito sulla giustizia riguadagnerà la magia dei fumetti. Già gli ho sentito dire che lo scontro tra magistratura e politica finirà quando i politici smetteranno di rubare, che in fondo un’intercettazione è come una chiacchierata in un bar, che solo chi ha la coscienza sporca scappa alla vista della polizia, che chi non ha nulla da nascondere non teme di essere intercettato, che “male non fare paura non avere”. E siamo solo al 13 aprile. Potrò smettere di comprare Topolino.

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