Valide ragioni per dire "No" alla truffa del referendum

Batteremo Renzi in altre occasioni. Non ora, non rinnegando noi stessi

Paolo Romani
Domenica non andrò a votare. Non ci andrei in nessun caso, qualunque fosse la mia opinione sulla materia della consultazione, perché trovo inaccettabile l’uso di uno strumento come il referendum in casi come questo. Significa stravolgere il senso dello strumento referendario in una democrazia rappresentativa.

Domenica non andrò a votare. Non ci andrei in nessun caso, qualunque fosse la mia opinione sulla materia della consultazione, perché trovo inaccettabile l’uso di uno strumento come il referendum in casi come questo. Significa stravolgere il senso dello strumento referendario in una democrazia rappresentativa. In Italia, dopo il referendum istituzionale del 1946, non si ricorse più allo strumento referendario fino al 1974, anno della consultazione popolare sul divorzio. Questo era un metodo corretto: il referendum veniva usato in caso eccezionali, quando era in gioco una scelta chiara fra due grandi visioni del mondo, Monarchia o Repubblica, indissolubilità del matrimonio o libertà per i coniugi. Affrontare per referendum una questione minore, e squisitamente tecnica, è una cosa del tutto senza senso, perché la classe politica, che è una categoria specializzata di legislatori, non può chiedere ai cittadini, che specializzati non sono, di risolvere i problemi. Chiedere all’elettore di pronunciarsi su queste cose non vuol dire esaltare ed allargare la democrazia, significa solo prenderlo in giro e provare a strumentalizzarne le emozioni e le impressioni. D’altronde non siamo ingenui: il senso di questo referendum è tutto politico. I suoi effetti tecnici, in un senso o nell’altro, saranno comunque modesti. L’obbiettivo dei promotori è colpire il governo Renzi: l’impegno che sta mettendo in questa battaglia il governatore della Puglia, Michele Emiliano, nonostante nel mare della Puglia non vi siano piattaforme, è la classica dimostrazione che – come sempre – anche in questo caso le dispute congressuali del Pd si scaricano sul paese. Spenderemo 300 milioni per provare a dirimere un conflitto interno al Partito democratico.

 

Peraltro chi come me ha avuto la responsabilità istituzionale della politica energetica, come ministro per lo Sviluppo Economico, non può astenersi dal dire qualcosa nel merito. Anche su questo non ho alcun dubbio: il tema del referendum è totalmente sbagliato. Le estrazioni di gas naturale e – in minima parte – di petrolio sono un contributo fondamentale a rendere il paese meno dipendente dagli approvvigionamenti esteri, soggetti a forti oscillazioni di prezzi e soprattutto alle condizioni di instabilità politica che caratterizzano il Nord Africa e il Medio Oriente. Al tempo stesso, l’effetto inquinante di tale attività estrattiva è minimo nel caso del petrolio e del tutto assente per quanto riguarda il gas. Più in generale, credo che in Italia dobbiamo liberarci, soprattutto in campo energetico, della “cultura del no” che blocca le scelte di sviluppo del paese. No al nucleare, no al carbone pulito, no ai rigassificatori, no alle trivellazioni, con il solo risultato di pagare a caro prezzo da altri ciò che potremmo produrre da soli. In questo senso il referendum è solo un tassello, ma è un tassello di quel muro che frena lo sviluppo dell’Italia. Per questo non andrò a votare, per contribuire ad abbattere quel muro. Questo giova a Matteo Renzi? Può darsi, ma è ora di smetterla con una politica nella quale il primo obbiettivo è danneggiare l’avversario. Nella mia visione, la cosa più importante è il bene del mio paese. Renzi lo batteremo su ben altri piani.

 

Paolo Romani è il Capogruppo di Forza Italia al Senato

 

 

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