Il premier Matteo Renzi (foto LaPresse)

Mossa anti logoramento. Eccola la carta segreta di Renzi sulle tasse

Claudio Cerasa
Lo schema è quello del 2014: annunciare prima delle elezioni una grande operazione sul fisco per dare una scossa e ottenere consenso. Operazione: riduzione, immediata, dell’Ires. La paura di Milano, l’altro piano per ottobre.

La decisione è presa e lo schema è lo stesso, identico, a quello seguìto dal presidente del Consiglio nelle settimane che hanno preceduto il successo delle europee del 2014. Naturalmente, i tempi sono cambiati, la freschezza di quei giorni oggi non c’è più, i nemici aumentano di giorno in giorno, gli avversari hanno preso coraggio, la minoranza del partito prende a schiaffi il suo segretario un giorno sì (Matteo, non sei un leader) e l’altro pure (Matteo, se non cambi la legge elettorale non votiamo il referendum costituzionale) ed è difficile immaginare che lo schema applicato nel 2014 possa portare il Pd, nel 2016, a raggiungere gli stessi risultati da record di due anni fa. Renzi però, per rilanciare la sua azione di governo, provare a dare una scossa al paese e insieme, ovviamente, ottenere un po’ di consenso, ha scelto di seguire la strada del 2014. Due anni fa la mossa a sorpresa (valore 10 miliardi di euro) fu quella degli ottanta euro per i redditi inferiori ai 25 mila euro l’anno: ottanta euro inseriti in busta paga pochi giorni prima delle elezioni. Oggi la scelta del premier è quella di puntare forte su un’altra riduzione delle tasse, già annunciata lo scorso autunno, poi ritirata e rinviata al prossimo anno, e ora improvvisamente tornata al centro dell’agenda economica renziana: un taglio drastico alla pressione fiscale sul lato dell’Ires, l’imposta sul reddito delle società, per un valore compreso tra i due e i tre punti percentuali. Costo dell’operazione: tra i 2,4 miliardi e i 3,6 miliardi di euro.

 

Timing dell’annuncio: la settimana tra il 16 e il 22 maggio (si vota il 5 giugno per le amministrative). Per il reperimento delle risorse vale lo schema proposto ieri sul Sole 24 Ore dal ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan: “Per essere credibile la riduzione della pressione fiscale deve essere finanziata con tagli alla spesa”. Dunque taglio delle tasse finanziato con tagli e non con nuove spese come fatto finora. Il presidente del Consiglio, come molti ricorderanno, aveva già promesso, scrivendolo nero su bianco nell’ultima legge di Stabilità, che il taglio dell’Ires, con un passaggio dal 27,5 per cento a un 24,5 per cento, sarebbe avvenuto nel corso del 2017. Ma il nuovo contesto politico ed economico che si è venuto a creare, tra perdita di consenso del premier e perdita di decimali alla voce crescita, ha suggerito al segretario del Pd di accelerare su questo fronte e di lavorare affinché il prossimo mese sia organizzato, in Cdm, uno show per certificare la volontà del governo di tagliare le tasse in modo concreto e con un anticipo sul timing previsto lo scorso anno. Sia per dare una frustata al cavallo dell’economia (l’Ires al 24,5 per cento sarebbe a un livello inferiore anche rispetto all’aliquota vantaggiosa di cui gode oggi la Spagna) sia per creare nella testa degli elettori la stessa sensazione positiva suscitata nel 2014. Quando Renzi, prima delle europee, riuscì a ottenere, insieme, il primo atto concreto in materia di riforme istituzionali (ieri c’è stato il primo “sì” alla Camera all’Italicum, oggi c’è il “sì” definitivo delle Camera alla riforma costituzionale) e il primo atto concreto di riduzione delle tasse (anche se formalmente gli ottanta euro sono registrati non come taglio alla pressione fiscale ma come incremento di spesa pubblica). Difficile dire se l’annuncio immediato del taglio di una tassa importante (taglio che entrerebbe in vigore a partire dal primo gennaio 2017) possa portare benefici a Renzi nel corso di una campagna per le amministrative che inizia a preoccupare seriamente il presidente del Consiglio, soprattutto sul fronte milanese. Facile dire invece che lo schema europee 2014 e amministrative 2016 verrà replicato non solo nel prossimo mese ma anche prima di un altro appuntamento cruciale per il destino del governo, e forse anche del paese: il referendum costituzionale del prossimo ottobre.

 

In quell’occasione la tipologia di alleggerimento fiscale che verrà annunciata prima del voto popolare sul ddl Boschi-Renzi riguarderà un’altra fetta del paese che, insieme con gli imprenditori, Renzi osserva con particolare attenzione: i pensionati. La mossa, in questo caso, per come la sta studiando la squadra degli economisti di Renzi, è in realtà una mossa doppia, in parte già annunciata dallo stesso presidente del Consiglio. Da un lato ci sono gli 80 euro per tutti coloro che hanno una pensione minima. Dall’altro lato c’è invece la famosa “clausola di flessibilità”, che darebbe la possibilità a chi vuole andare in pensione prima del tempo di avere in anticipo quella stessa pensione, a condizione di vedersi ridotta la quota disponibile di pensione (il costo dell’operazione in questo caso è di 4 miliardi). La certificazione, contemporanea e vedremo quanto reale, che il Pd non è più il partito delle tasse (Ires) pur essendo ancora il partito che si occupa dei più deboli (pensioni minime) non è solo una strategia finalizzata ad allargare il perimetro del partito della nazione ma è anche una strategia finalizzata a raggiungere quello che Renzi considera oggi l’unico elettorato possibile sul quale può far leva il suo Pd – imprenditori, media borghesia, pensionati – una volta preso atto che tra i giovani, tra gli under 30, il renzismo oggi fa meno breccia di un tempo (eufemismo).

 

La decisione di Renzi è presa, dunque, salvo sorprese verrà annunciata poche settimane prima delle amministrative e la volontà è quella di presentare nuovamente il volto anti tasse del Pd magari proprio in quella città nella quale si gioca buona parte del destino della rottamazione: Milano. Da ogni punto di vista, infatti, la sfida Sala-Parisi, giorno dopo giorno, dà sempre più l’idea di essere non solo la partita più bella tra quelle che si giocano alle prossime elezioni (Raggi chi?) ma anche l’unica significativa da guardare con attenzione per capire, in un contesto bonificato dal grillismo e dal salvinismo, che destino avranno sia il progetto di un centrodestra non deberlusconizzato sia il progetto di un centrosinistra per così dire della rottamazione. Perdere Roma non sarebbe grave: sarebbe spiegabile. Lo stesso vale per Napoli. Perdere Milano, anche in vista del prossimo referendum, rischierebbe invece di essere per Renzi una tassa troppo alta da pagare per far nascere il partito della nazione. E dunque non c’è scelta: giù le tasse, adesso.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.