“Sarebbe doveroso richiedere una legge che imponga ‘equal pay for equal work’, riscattando gli uomini da una subalternità”

Contro le quote rosa

Alessandro De Nicola
Le modelle guadagnano più dei modelli, le atlete meno degli atleti, è questione di business. La discriminazione esiste, ed è un bene. Gli idioti che premiano un mediocre solo per questioni di genere saranno puniti da un giudice implacabile: il mercato.

Sono felice. Invece che un articolo in cui me la prendo con politiche redistributive, deliri del legislatore, intralci al merito e così via, finalmente posso sentirmi un Uomo Giusto (persona, scusate, ancora faccio fatica ad adeguarmi alla NeoLingua della presidenta onorevola B.) e reclamare parità. Sì avete letto bene: pa-ri-tà! E per di più di genere. Va beh, il lettore si chiederà se ho sbattuto la testa come Scott, il ragazzo che nella commedia di Woody Allen “Tutti dicono I love you”, a causa di una occlusione alle arterie che gli fa affluire meno sangue al cervello, diventa repubblicano, legge la National Review, difende il diritto a portare armi e fa preoccupare moltissimo la famiglia borghese e progressista.

 

Niente di tutto ciò. Il fatto è che ho scoperto una discriminazione intollerabile nel mondo del lavoro, un esempio di disparità sessista cui va posto rimedio al più presto. Le modelle guadagnano molto di più dei modelli per fare esattamente le stesse cose, sfilare su un palco e posare per delle foto. Gisele Bundchen (nella foto a sinistra) raggranella in un anno 47 milioni di dollari, mentre il primo in classifica dei bellocci, Sean O’Pry arriva a 1,5 milioni… il pover’uomo. Se poi guardiamo le prime cinque posizioni, le altre quattro bellezze – Kroes, Lima, Moss e Upton – portano a casa 30 milioni in quattro, mentre i simpatici e sconosciuti ometti dello stesso livello si accontentano di 4,15 milioni. Non è questa situazione la prova evidente di un’arretratezza culturale che vuole stereotipare i maschi nel loro ruolo di virilità senza fronzoli o al massimo di sobria eleganza? Poiché l’evoluzione dei costumi è troppo lenta, sarebbe dunque doveroso richiedere una legge che imponga equal pay for equal work, riscattando gli uomini da una subalternità che concede alle sole donne di rappresentare l’estetica e la creatività della moda, dalla lingerie agli abiti da sera.

 

 

 

 

D’altronde questo è il futuro. Il povero Novak Djokovic, indiscusso numero 1 del tennis mondiale (che a sua volta soffre di un gap di compensi nei confronti del più amato e popolare Federer), ha osato dire che, in fondo, lui non ci vedeva nulla di sbagliato nel fatto che gli uomini guadagnassero più soldi delle donne nella nobile arte della racchetta, perché i primi attraggono più spettatori. Apriti cielo: l’allegra banda mediatica del politicamente corretto lo ha trafitto come san Sebastiano, tant’è che il poveretto ha dovuto ritrarre immediatamente.

 

A quel punto, aiutati da goffe dichiarazioni del patron del torneo di Indian Wells, i benpensanti del Guardian o del Washington Post o del club più costoso del mondo, il World Economic Forum, hanno cominciato a sfornare dati in cui si dimostrava come le povere calciatrici facciano la fame rispetto a Messi e Ronaldo e – impensabile – il vincitore del campionato mondiale di biliardo riceva 300 mila sterline, mentre la vincitrice si accontenta di 1.500! Ma il fronte si allarga. Le attrici, poi, prendono una miseria. Jennifer Lawrence si lamenta, Gwyneth Paltrow si indigna, il trio delle colte-sagge-accidenti che personalità! Emma Watson, Emma Thompson e Meryl Streep critica: Hollywood non solo è razzista, ma anche maschilista, visto che gli attori sfilano cachet più robusti delle star di sesso femminile.

 


Tre famose attrici femministe: Emma Watson, Emma Thompson, Meryl Streep and Lena Dunham (foto The Teleghaph)


 

Pensando al tennis, però, è facile accorgersi che con la spettacolarizzazione del tennis femminile Serena Williams e Maria Sharapova rientrano tra i cento sportivi più pagati della classifica di Forbes, benché meno dei leader maschili. E’ però vero che la finale di Wimbledon maschile ha avuto un ascolto medio sulla Bbc di 7,3 milioni di spettatori e l’evento femminile di 2,8 (in Italia 46 mila e 185 mila rispettivamente) e in generale il circuito femminile Wta (esclusi i Grande Slam) è visto in un anno da 395 milioni di spettatori e quello maschile Atp da 973 milioni. Durante i Grande Slam, gli uomini giocano al meglio dei 5 set e le donne dei 3, il che vuol dire più tempo per pubblicità e sponsor. I biglietti venduti per le partite dei maschi sono quasi sempre di più rispetto a quelli del gentil sesso.

 

Insomma, la si può rigirare come la si vuole, ma volente o nolente, il circuito Atp genera più soldi da tv, sponsor, spettatori, ed è per questo che i tennisti vengono ricompensati meglio. Stesso dicasi per il calcio (la coppa del mondo femminile del 2015 ha attirato sponsor per 17 milioni di dollari, quella maschile per 529) o il golf, per citare sport “ricchi”. Nel 2010, la Coppa del Mondo femminile fece incassare 73 milioni di dollari alla Fifa di cui 10 milioni alle giocatrici, il 13 per cento. Quella maschile portò a casa 4 miliardi di cui 348 milioni ai calciatori, il 9 per cento: questa sì che è un’ingiustizia! Peraltro, nonostante le differenze di incassi che le diverse esibizioni portano, molte federazioni hanno imposto una sorta di affirmative action e quindi i premi delle competizioni sono uguali tra tornei maschili e femminili (accade così nelle competizioni del Grande Slam ad esempio).

 

Per attori ed attrici, se uno vede i quindici film che hanno incassato di più nel 2015 in America, ci sono tre cartoni animati, nove a prevalenza “maschile” (tipo Star Wars o Furious 7), tre a prevalenza femminile. Sebbene con film diversi, incredibilmente la proporzione è esattamente identica in Italia: magari questo spiega perché i maschietti hanno cachet più alti. D’altronde, nel mondo della musica nessuno protesta. Tra i quattordici artisti di cui son stati comprati più di 200 milioni di copie, vi sono cinque bravissime cantanti (con Madonna che svetta al quarto posto assoluto), sei band maschili e tre solisti uomini (primi assoluti i Beatles, secondo Elvis Presley, terzo Michael Jackson). Insomma, soprattutto tra i solisti, la partita è aperta, considerando tra l’altro che ai tempi di Elvis e Michael Jackson c’era poca riproduzione digitale e pirata e quindi vendere dischi era più semplice.
Sento già molte persone sensibili e intelligenti, tra cui amici e amiche, che mi dicono “tu non capisci”. La discriminazione nei posti di lavoro esiste eccome, le donne in molti casi vengono pagate meno anche quando svolgono le stesse prestazioni e questa è una situazione inaccettabile.

 

Al che io replico: ne sono consapevole. Penso di aver argomentato che, dove decide il mercato, i compensi diversi hanno una giustificazione oggettiva e che Claudia Schiffer e Naomi Campbell riderebbero all’idea di essere pagate come i poveri maschietti e Madonna si inferocirebbe all’idea di guadagnare come un Eminem qualsiasi (sedicesimo posto). E infatti è proprio questo ciò che conviene alle donne: fatta salva l’uguaglianza giuridica, che esiste, si dia spazio alla concorrenza. L’imprenditore idiota o bigotto che preferirà promuovere un maschio mediocre rispetto a una femmina capace avrà un giudice implacabile che lo punirà, il mercato: i consumatori compreranno meno suoi prodotti e i migliori talenti si allontaneranno da un’impresa discriminante. Questo è il futuro dell’uguaglianza aristotelica, quella proporzionale, l’unica che può far sì che la bellezza delle differenze tra individui, non tra uomini e donne, etero e omo, bianchi e neri, musulmani o cristiani, alti o bassi, trovi il “giusto” compenso e vada a beneficio di tutti.

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