Matteo Renzi

Passeggiate romane

Congiure nel Pd

Redazione
Continuano e si accentuano le tensioni all'interno del Partito democratico. Tra sondaggi allarmanti, gufi e avvoltoi, c’è chi pensa già al dopo Renzi. Con due nomi in testa.

Ci deve essere qualche problema in casa democratica se sul sito dell’Unità, l’organo di stampa del Pd di provatissima fede renziana, appare un sondaggio che rileva un calo del partito. Non una diminuzione clamorosa dei consensi, questo è certo, ma comunque uno 0,8 per cento che fa riflettere. E serve a poco consolarsi con il fatto che lo stesso sondaggio segnala una lieve flessione del Movimento cinque stelle (-0,2 per cento). Significa che comunque, per ammissione dello stesso giornale del Pd, l’elettorato è quanto meno in uno stato di confusione. E c’è da aggiungere che si tratta di una rilevazione fatta prima che scoppiasse il cosiddetto “caso Guidi”. Nonostante la prontezza di reazione del governo, con le dimissioni immediate del ministro coinvolto nell’inchiesta della procura di Potenza, e la presenza sui media di un Matteo Renzi aggressivo quel che basta e determinato quel che serve, quello che è accaduto difficilmente non avrà contraccolpi ulteriori sul consenso al Partito democratico. E non tanto perché in Italia vi sia una sensibilità ambientalista, ma piuttosto perché il “caso Guidi” rimanda l’immagine di un governo non perfettamente trasparente.

 

Ed è questo il vero cruccio del presidente del Consiglio perché, come ha spiegato lui stesso a diversi interlocutori, questa storia, dopo la vicenda di Banca Etruria, proprio non ci voleva. Allo stato maggiore del Pd è chiaro che ormai si attacca Maria Elena Boschi per colpire il premier e il  governo tutto. I più pessimisti non escludono che addirittura, non nell’immediato, ma di qui al referendum costituzionale, si possa verificare il tentativo di mettere in mezzo lo stesso Renzi. “Con cose inesistenti – è il ragionamento che viene fatto – ma siccome ormai i processi vengono fatti nelle piazze mediatiche e non nelle aule di tribunale, la nocività della cosa è evidente a tutti”. Il presidente del Consiglio, comunque, è convinto di avere abbastanza forza per riuscire a controbattere a quello che considera un vero e proprio attacco. Ed è pronto a dimostrare che la profezia (o l’augurio?) di Massimo D’Alema (Renzi cadrà per mano giudiziaria) non ha fondamento alcuno.

 

Ma gli avversari del premier (anche quelli che, formalmente, hanno sempre contestato il protagonismo della magistratura italiana) già si fregano le mani e progettano il dopo-Renzi. Probabilmente si illudono, perché l’uomo è tosto e ha dalla sua il fatto di aver sempre avuto un atteggiamento corretto. Ma anche Renzi sa che i gufi hanno ripreso a volare sulla sua testa. O meglio, come li ha definiti la vice segretaria del Partito democratico, Debora Serracchiani, arricchendo il lessico ornitologico tanto caro al premier,  gli “avvoltoi”.

 

Nei conversari privatissimi tra gli oppositori del presidente del Consiglio, sia quelli esterni che quelli interni, si discute della possibilità che Renzi cada e si ragiona su quale soluzione adottare nel caso. E a questo proposito ci sono due scuole di pensiero. Unite però dalla medesima ferma volontà. Quella di non andare alle elezioni anticipate in caso di crisi di governo. E se Renzi si opponesse a questa ipotesi e invocasse le urne? Anche fuori da Palazzo Chigi lui è pur sempre il premier del partito di maggioranza e potrebbe ostacolare questo progetto. Ma i “gufi” ( chiamiamoli così per comodità ) sono convinti che i parlamentari del Pd sono i primi a non volere andare a casa (e lo stesso dicasi per i “fiancheggiatori esterni” di Denis Verdini) e che anche a Renzi, tutto sommato, non conviene andare alle elezioni in condizioni di debolezza.

 

Ma si diceva delle due scuole di pensiero. Secondo la prima, a succedere all’attuale premier dovrebbe essere il suo predecessore. Cioè Enrico Letta. Con lui a capo di un governo si potrebbe dare vita a un esecutivo più ampio, un governo di emergenza in cui potrebbe entrare anche Forza Italia, sul modello del primo Letta. La seconda scuola di pensiero diverge dalla prima sul nome del premier. In questo caso il prescelto sarebbe Dario Franceschini con un governo più simile a questo nella composizione. Perché proprio il ministro dei Beni culturali? Perché con lui il Pd ormai sempre più filo-renziano si sentirebbe più garantito. Insomma, ci sarebbe minore discontinuità. E a questo proposito non è sfuggito a nessuno il fatto che negli ultimi giorni il presidente del Consiglio abbia rivolto diverse frecciatine a Franceschini. Naturalmente, va specificato che il ministro dei Beni culturali non è per niente coinvolto in queste manovre. Non è lui a fare il suo nome, ma sono gli oppositori del premier a farlo.

 

Morale della favola: Renzi ha detto anche in televisione di non credere alle congiure. Ma se questo non è un complotto, per quanto complicato, poco ci manca…