Il sindaco di Livorno Filippo Nogarin (foto LaPresse)

Consulenze agli amici e accuse di irregolarità. Perché il M5s non chiede le dimissioni del sindaco grillino di Livorno?

David Allegranti

Nogarin e la sua giunta avrebbero commesso alcune presunte irregolarità amministrative, oltre ad affidare consulenze pagate dal comune a un attivista del MoVimento. Ma misteriosamente la banda degli onesti di Casaleggio tace.

Già ce lo immaginiamo, Alessandro Di Battista, che ci fa un video di quelli cazzuti, l’intonazione giusta, i movimenti delle mani e delle braccia assertivi, lo sguardo fisso in camera e poi la solita conclusione “a riveder le stelle”. Per non dire dell’autorevole Luigi Di Maio, che prende mouse e tastiera per vergare un post di quelli da qualche migliaio di like. Tiziana Ciprini, invece, la vediamo proprio mentre si reca alla procura della Repubblica per chiedere spiegazioni, segnalare complotti del Club Bilderberg in piena attività. Sarebbe un trionfo dell’Italia onesta contro la tronfia Italia dei politici corrotti, contro le solite truffaldine operazioni di partito ai danni della gente.

 

E invece, le chat sono silenziose, i blog non rigurgitano ficcanti post, Twitter non cinguetta, i manettari ripongono le manette. Quindi possiamo soltanto metterci nei panni di un grillino che ha appena letto le notizie che arrivano da Livorno. Il sindaco Filippo Nogarin, del M5S, usato da Casaleggio quale fiero avversario del pizzarottismo, è convinto che gli arriverà un avviso di garanzia dopo un esposto anonimo e un ricorso presentato da Bel. Ma. Immobiliare, società di Federico Bellabarba e proprietaria della discarica del Limoncino. Secondo il ricorso, il sindaco e la sua giunta avrebbero commesso alcune presunte irregolarità amministrative, dando un vantaggio ai frontisti contrari alla discarica e al passaggio di camion fornendo l’accesso ad atti amministrativi. “Io sono sicuro che arriverà un avviso di garanzia su questa cosa”, dice Nogarin a RaiNews. Eppure, “non vedo per quale motivo dovrei dimettermi. Se me lo dovesse chiedere la base allora la cosa potrebbe entrare nel dibattito complessivo”.

 

Nello stesso giorno, è venuto fuori – ne ha scritto ieri il Tirreno – che il caro vecchio sistema degli amici degli amici è ancora vivo e vegeto a Livorno. Il Comune ha deciso di affidare una consulenza, del valore di 20 mila euro, alla Sator Srl, con il compito di “rendere più visibile e conosciuta la Fondazione Goldoni”. La società – nata il 6 marzo 2015 – si occupa di ricerche di mercato e sondaggi d’opinione, ha sede a Firenze, ma il proprietario è al 90 per cento Saverio Dutti, livornese, attivista del M5S noto in città per l’organizzazione di eventi a Cinque Stelle. Uno che su Facebook alla voce “lavoro” scrive “Ha lavorato presso Movimento 5 Stelle”, tanto per intenderci (fa il paio con quelli che “ha studiato presso Movimento 5 Stelle” lo mettono sotto “istruzione”). E in effetti ventimila euro l’anno sono uno stipendio (aggiungiamoci pure il rimborso spese da 5,29 euro a pasto per ogni giorno al teatro, alla faccia della buvette di quei farabutti di deputati e senatori!).

 



 

Ora, possiamo solo immaginare che cosa sarebbe successo se Nogarin non fosse uno del M5S ma un fiero appartenente al Pdmenoelle. Sarebbe già partita una scarica di tweet con l’hashtag #nogarindimettiti retwittati dall’account di Beppe Grillo (e dai suoi follower finti); i meme sull’“indagato del giorno” con la faccia del povero sindaco comparirebbero sui social network; troll ed elettori a Cinque Stelle avrebbero già invaso la pagina ufficiale di Facebook del Pdmenoelle per dire che è una vergogna!!!!111!!1!! che in questo Paese di ladri, corrotti e disonesti, il vecchio sistema degli amici sia ancora in piedi, nella bella Livorno dove il potere resta sempre il solito e non cambia mai. Come minimo, Di Battista avrebbe già chiesto le dimissioni non solo del sindaco, ma pure di Matteo Renzi, chiedendogli conto del perché, nel suo partito di venduti, ci sono solo indagati, mentre la gente onesta è costretta a farsi un culo così, senza raccomandazioni, senza consulenze regalate ad cazzum. Sarebbe il trionfo del turpiloquio, Paola Taverna farebbe un colorito intervento al Senato per chiedere giustizia, Vito Crimi direbbe una delle sue micidiali freddure, Carlo Sibilia convocherebbe una riunione dell’Internazionale Complottista e Nogarin, il caro sindaco del Pdmenoelle, sarebbe costretto alle dimissioni immediate. Perché, perdiana, l’onestà andrà di moda. Prima o poi.

  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.