Ignazio Marino (foto LaPresse)

“Ma si candida”? Cosa c'è sotto al libro di Ignazio Marino

Marianna Rizzini
Se non ora quando annunciare l’eventuale ricandidatura a sindaco?, chiedono i convenuti alla sede  dell’Associazione stampa estera romana nel giorno zero della nuova era mariniana: mariniana nel senso di Ignazio Marino, ex sindaco della capitale.

Roma. Se non ora quando annunciare l’eventuale ricandidatura a sindaco?, chiedono, trasecolando, i convenuti alla sede  dell’Associazione stampa estera romana nel giorno zero della nuova era mariniana: mariniana nel senso di Ignazio Marino, ex sindaco della capitale e protagonista, sei mesi fa, delle dimissioni annunciate e ritirate più pazze del mondo. Giorno zero, sì, perché la fantomatica ricandidatura Marino non vuole proprio annunciarla, ai cronisti esteri e non esteri: non è questa la sede, dice, e mentre lo dice tutti pensano “non è questo il giorno”, ché il giorno potrebbe essere oggi, chissà, e il luogo una libreria del più popolare quartiere Appio. Giorno zero, infine, perché il libro “Il marziano a Roma” (ed. Feltrinelli), tomo di memorie dell’ex sindaco grafomane che ogni giorno tutto appunta sul suo block notes, mercoledì non era ancora ufficialmente uscito, ma aveva già sortito qualche effetto via anticipazione sui principali quotidiani (e nel pomeriggio infatti tutto il Pd insorgeva: leggeremo con calma, ma così ci offendi, caro Ignazio, commentavano alcuni esponenti democratici – quelli che non sottoscrivevano la freddura postdalemiana del postdalemiano presidente Pd e commissario del Pd romano Matteo Orfini: “Non faccio il recensore di romanzi fantasy”).

 

E se si poteva capire il titolo – “marziano a Roma”, chi altri se non lui, l’Ignazio così chiamato dai tempi delle prime pedonalizzazioni – non era così scontato capire l’intento, nella sala della stampa estera dove il bagno di folla  (l’ultimo?) attendeva un felice Marino, e dove un tempo si recava felice anche Beppe Grillo: mi scusi, chiedeva la giornalista Mathilde Auvillain, questo libro che cos’è esattamente, se non può essere, come doveva all’inizio essere, una testimonianza di mezzo mandato? E’ forse un testamento, un manifesto elettorale, una vendetta? E però Marino non era lì per rispondere alla domanda ripetuta da almeno cinque o sei voci (francesi, inglesi, tedesche, italiane): si candida sì o no? Macchè. Marino era lì per altro (raccontarsi da puro tra gli impuri, per esempio, fare domande lui ai cronisti – teatro nel teatro – o chiedere a gran voce i programmi elettorali altrui). E intanto ce n’era per tutti: per Matteo Renzi, per Lorenzo Guerini, per Marco Causi, per il Pd di cui Marino “non ha ancora rinnovato la tessera” ma che “ha contribuito a fondare”, per le lobby e di nuovo per il premier (che non caccia le lobby) e per i palazzinari e per lo stesso Orfini e per tutti quelli che, secondo Marino, hanno la colpa di quel che è accaduto sotto la consiliatura Marino – e meno male che è un marziano, anche se ammette di non avere nessuna voglia di ritirarsi a vivere su Marte.

 

La questione, comunque, è di metodo: lui, l’ex sindaco, non lavorava di sms, dice, ma di tabelle sinottiche (utili a confronti con il programma dei Cinque Stelle, nel 2013). Lui archiviava, archiviava tutto sul taccuino, tantopiù che scrivere è attività maieutica: ti tira fuori anche quello che non sai, e se scrivi di quello di cui ti ritieni esperto, dice Marino, stai sicuro che ti renderai invece conto di essere ignorante, e ti verrà voglia di approfondire le tue lacune. Non di alleanze con Sinistra italiana vuol parlare, Marino, e men che meno di scontrini (i suoi, ma se c’è da esaminare le spese renziane volentieri). Né di “cene di corrente” vuol discettare. Mi scusi, sbotta allora il giornalista estero, ma non ha mai sentito parlare di “consensus building”? E però la costruzione del consenso è di là da venire, nel giorno zero della forse-candidatura mariniana (o è comunque acqua passata, tanto era pur sempre tutta colpa degli altri).

 

E allora a che pro, Marino, questo libro, se non per ricandidarsi? Ovvio: parlare intanto di quello che il marziano ha fatto, di quello che poteva fare, di quello che (aridaje) avrebbe potuto fare se altri non ci avessero messo lo zampino, di cambiamenti climatici ma soprattutto di strade: ed è così che, sotto gli occhi di Tobias Piller, storico corrispondente della Faz con occhiali da Germania Est pre-caduta del Muro, come ha scritto su queste pagine Stefano Di Michele, si dipana il vero miracolo extraterrestre: tenere centocinquanta persone appese alle parole “conglomerato bituminoso” e “tappetino di usura”. E pazienza se c’era chi voleva semplicemente capire se a volte anche i marziani ritornano.

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.