Retroscenismo politico, R.I.P.
Così Monti depoliticizzò (anche) la stampa italiana. Uno studio che fa sognare Renzi
Roma. “Matteo Renzi ai suoi” è la formula che identifica il retroscena giornalistico doc, quello insufflato da Palazzo Chigi ma venduto in edicola come fosse un’intercettazione ambientale rivelata dall’articolista. Ferruccio de Bortoli, l’ex direttore del Corriere della Sera, ha detto di vedere nella suddetta formula – “Renzi ai suoi” – un’ulteriore degenerazione della professione giornalistica.
Sarà. Tuttavia le emeroteche sono colme di “Berlusconi al suo entourage” e di “Enrico Letta ai suoi”. Provare con Google per credere. Fosse pure una degenerazione, sarebbe ben più antica dell’arrivo del rottamatore a Palazzo Chigi. Con un’eccezione: chi cercasse sul solito Google la formula “Mario Monti ai suoi”, troverebbe soltanto la lettera pubblica di commiato dell’ex presidente del Consiglio ai suoi parlamentari di Scelta civica, poco dopo il flop elettorale del 2013. Il professore della Bocconi, negli archivi, ha lasciato ben pochi retroscena politici a testimoniare il proprio passaggio a Palazzo Chigi, dalla fine del 2011 all’inizio del 2013. E questo non è un caso, sostiene oggi uno studio curato per il Mulino da due professori dell’Università di Torino, Luigi Bobbio e Franca Roncarolo, intitolato “I media e le politiche”. Dopo l’apparizione di Lady Spread nell’autunno 2011, in Italia – come noto – fu avviata con il governo Monti-Fornero una fase tecnocratica di depoliticizzazione della democrazia, nel tentativo di placare l’emergenza finanziaria e fiscale, attraverso una cura di austerity e riforme pro competitività. I ricercatori di Torino questo lo danno per scontato. Quello che rilevano è che proprio in quel periodo anche il giornalismo italiano fu investito da un cambiamento non da poco. Niente “Monti ai suoi”, sintetizziamo noi. Mentre i prof. di Torino hanno preferito esaminare migliaia di articoli usciti dal 2011 al 2013 su cinque quotidiani nazionali (Sole 24 Ore, Corriere della Sera, Repubblica, Stampa e Giornale), dividendoli fra quelli che trattavano la politics (politica) e quelli che si occupavano della policy (le politiche). Risultato: fino all’arrivo di Monti, “i quotidiani dedicano un’attenzione preponderante alla politica rispetto alle politiche”.
Nel 2012 cambia tutto: “L’incidenza percentuale degli articoli di policy” sul totale di quelli pubblicati raddoppia in media su tutti i quotidiani (dall’8,3 per cento al 16,1 per cento), si triplica addirittura sul Sole 24 Ore (31,2 per cento). Dal decreto Salva Italia con la riforma Fornero delle pensioni e l’anticipo dell’Imu al Cresci Italia, dal Semplifica Italia alle liberalizzazioni, dalla spending review alla riforma del lavoro, ogni Consiglio dei ministri fu un susseguirsi senza precedenti di misure approvate. E poi da discutere fra esperti e da illustrare ai lettori. Per i ricercatori, nel 2012 si registra, rispetto ai vent’anni precedenti, “il picco di attenzione mediatica” per la riforma del lavoro.
Non solo: in confronto al dibattito sulla riforma Maroni (2002), gli “attori individuali” ebbero nel 2012 molta più voce in capitolo di quelli “collettivi”; era la conseguenza mediatica dell’abbandono della concertazione confindustrial-sindacale da parte dei tecnici. Nel 2013, con la campagna elettorale, ecco però che la politics torna a dominare sulla policy, allontanandoci dai più alti standard europei di giornalismo, come quelli francesi. Conclusione dei ricercatori, tutt’altro che montiani ma freddi col chiacchiericcio da retroscena: “Lo sviluppo della deliberazione pubblica richiede qualche forma di depoliticizzazione del conflitto”. Il montismo applicato alla carta stampata. Il sogno nel cassetto di Renzi, che potrebbe diventare realtà con l’entrata in vigore dell’Italicum come legge elettorale. O almeno così dicono i suoi (cit.).
storia di una metamorfosi