Come cambiano i partiti (Pd compreso) nell'éra dei Trump e dei Grillo

Claudio Cerasa
Giuliano Amato al Foglio: “Le grandi coalizioni sono destinate a far nascere un unico partito. I 5 stelle? Stanno cambiando”.

Giuliano Amato ci pensa un attimo e dopo aver messo insieme i nomi di Donald Trump, di Bernie Sanders, di Jean-Marie Le Pen, di Matteo Salvini, di Beppe Grillo, di Frauke Petry, di Pablo Iglesias prende una Bic blu e disegna tre cerchi su un foglio di carta. Tre cerchi non comunicanti e di uguale misura, ciascuno dei quali rappresenta uno dei tre tipi di elettore che esistono oggi in giro per il mondo. L’elettore numero uno, dice Amato, è l’elettore centrale, quello che banalmente potremmo chiamare di governo. L’elettore numero due, quello laterale, a destra, è l’elettore preoccupato dall’immigrazione. L’elettore numero tre, quello laterale, a sinistra, è l’elettore, infine, preoccupato dalla diseguaglianza, dall’eccessivo abbassamento dei salari a cui si è sommato un aumento eccessivo dei costi dei servizi fondamentali. Non si tratta, dice Amato, di condividere le ragioni che portano alla divisione del mondo in tre cerchi. Si tratta di capirlo, comprenderlo, studiarlo e, in ultima istanza, agire di conseguenza.

 

“Stiamo assistendo – dice Amato conversando con il Foglio – a una serie di micro-terremoti che riguardano la composizione dell’elettorato mondiale. Sostenere che non ci siano più destra e sinistra è una banalità grossolona. Destra e sinistra esistono ancora ma accanto a queste categorie ve ne sono delle altre che non si possono ignorare. Ci chiediamo spesso, in questa fase della politica, quali siano le ragioni della distanza che esiste tra elettori e istituzioni. E ci chiediamo, spesso, come sia possibile spiegare alcuni grandi paradossi della nostra epoca. Perché l’America di Obama, paese rinato dal punto di vista economico, presenta un numero così considerevole di sacche di insofferenza, di dissidenza e di ribellione anche economica? Perché, per fare un altro esempio, un paese come la Polonia, che ha  ricevuto immensi benefici dalla sua permanenza in Europa, è diventato uno dei paesi meno europeisti d’Europa? Perché in una Germania che abbonda di ricchezza nascono e si sviluppano partiti che contestano il modello di governo della Germania? Io credo che la distanza tra elettori e istituzioni dipenda in primo luogo dalla non comprensione della natura degli elettorati. Che cosa rappresentano i Grillo, gli Iglesias e i Sanders? Molte cose, certo, ma in particolar modo una: il tentativo di creare, attraverso un nuovo modello di redistribuzione del reddito, una classe dirigente che sappia rappresentare l’elettorato giovanile, riducendo il divario tra chi guadagna sempre di più e chi guadagna oggi troppo poco. E che cosa rappresentano, prima di ogni altra cosa, i Trump, le Le Pen, i Salvini e le Frauke Petry? La stessa volontà di promuovere un nuovo modello di redistribuzione del reddito, certo. Ma a questa volontà va aggiunta anche una paura che spesso non viene capita fino in fondo rispetto al tema dell’immigrazione. Quell’elettorato esiste, è forte, e il terzo elettorato, il terzo cerchio, non riesce a rappresentarlo”. Il terzo cerchio, quello di governo, quello centrale, quello che, dice Amato, in una certa misura rappresentano bene Renzi in Italia, Merkel in Germania, Cameron in Gran Bretagna, Werner Faymann in Austria. La grande coalizione, la trasformazione dei partiti, la mutazione genetica.

 


Angela Merkel tra David Cameron e Matteo Renzi


 

“Il terzo cerchio – continua Amato – è quello più importante ed è un cerchio che riguarda anche l’Italia. Il fatto che in tutta Europa si stiano sviluppando delle grandi coalizioni, dei partiti di centrodestra e di centrosinistra che si ritrovano insieme a governare, non è più e non può essere più considerato solo un fenomeno transitorio ma è qualcosa che ha cambiato e sta cambiando la natura dei partiti. Lo dico in modo più semplice, diretto: i partiti che fanno parte delle grandi coalizioni di governo non sono lì per caso. Pensiamo all’economia, alla politica estera, alle riforme costituzionali. Gli accordi tra partiti un tempo distanti possono avvenire proprio perché la distanza è più piccola rispetto a quella che si ha con i partiti che fanno parte degli altri due cerchi e in virtù di questa nuova geografia credo sia inevitabile che chi è capo della grande coalizione, se ben governa, sia quasi automaticamente il leader potenziale, un domani, di quei partiti. Non mi sorprende – continua Amato – che in Inghilterra i blairiani si identifichino più in Cameron che in Corbyn. Non mi sorprende che molti socialdemocratici considerino Merkel un leader non così distante dal pensiero socialdemocratico. Non mi sorprende che lo stesso valga in Austria, dove il processo di fusione tra i partiti di governo è ancora più a uno stato avanzato, e non mi sorprende, infine, che lo stesso stia succedendo in Italia. Con Renzi, naturalmente. Sento spesso dire che il Pd è un partito che ha imboccato una strada pericolosa in quanto avrebbe cambiato la sua pelle, il suo Dna. Lo dico con sincerità e senza voler innescare polemiche ma, da fondatore del Pd, credo sia un dato di fatto. E’ in corso una grande e importante mutazione genetica del Partito democratico. Ma al contrario di quello che si potrebbe credere, la mutazione genetica non può essere considerata né buona né cattiva: è semplicemente inevitabile, è l’unico modo per andare avanti, l’unico modo per poter competere con gli altri cerchi, con gli altri elettorati. Dice il mio amico Anthony Giddens che quando una società cambia se noi non cambiamo rimaniamo indietro, non la rappresentiamo e diventiamo noi stessi conservatori. Ma c’è un problema. Anno dopo anno, lo spazio della grande coalizione si restringe, la somma dei voti di centrodestra e centrosinistra è sempre più piccola, e ai grandi partiti può fare ribrezzo, forse, andare a conquistare gli elettori degli altri cerchi, ma se non si capisce cosa vogliono quegli elettori il futuro rischia di essere particolarmente nero”.

 

Amato, curiosamente, sostiene che il Movimento 5 stelle sia da considerare più vicino all’esperienza di Sanders che a quella di Trump e nota che in Italia sia in corso, anche qui, una mutazione genetica del partito di Grillo. “Io metto in fila i fatti. Osservo che in passato il Movimento 5 stelle era un movimento, un partito, che puntava a portare in Parlamento i portavoce del popolo minuto: uno di noi il più semplice di noi. Oggi a Roma è candidata una brava e giovane avvocatessa. A Torino c’è una giovane e brava bocconiana. A Milano hanno scelto di sacrificare una disoccupata. Mi pare un modo per catturare un pubblico trasversale, lo stesso che a mio avviso in America oggi voterebbe Sanders: i giovani colti”. E la sinistra tradizionale? “Ciò che mi sorprende della sinistra non è la sua mutazione genetica ma è la difficoltà oggettiva che hanno oggi i partiti della sinistra tradizionale a rappresentare gli elettori con i redditi più bassi. Noto questa debolezza e credo sia una debolezza legata a un grande equivoco o a un grande errore strategico: pensare di conquistare il voto delle classi meno agiate giocando con la politica dei diritti piuttosto che con le politiche sociali. Mi verrebbe da dire con un sorriso: ma non avete ancora capito che quella è una politica surrogata? Quello che serve oggi è una politica che nessuno sembra avere, volta a una forte redistribuzione del reddito”.

 

Giuliano Amato, andando avanti nella nostra conversazione, nota che in Europa esistono anche altre faglie di rottura tra i vari blocchi elettorali che possono essere sintetizzabili tra est e ovest dell’Europa, tra creditori e debitori, tra paesi centrali e paesi periferici. In Italia, secondo l’ex premier e attuale giudice della Corte costituzionale, non c’è, al momento, il rischio che uno dei due cerchi esterni prevalga su quello centrale. Ma la presenza di questi due cerchi, che secondo Amato sono speculari in Italia a quelli che si osservano oggi negli Stati Uniti, forse solo con qualche percentuale diversa, la sola presenza di questi due cerchi, dicevamo, ha un impatto forte su alcune misure politiche. Sia in America sia in Italia.

 

“Rispetto a un tempo – dice Amato – non c’è dubbio che, restringendosi lo spazio che hanno all’interno di un paese i partiti di governo, sia enormemente più impopolare portare avanti alcune politiche come quelle legate agli interventi militari. Credo che anche in Italia Renzi senta sulle spalle il peso di una nuova geografia elettorale ma un vero leader lo si riconosce anche da questo e Merkel credo sia ancora una volta un esempio positivo. Dopo la non vittoria alle regionali, ha detto che non avrebbe cambiato di una virgola la sua politica sull’immigrazione. Mi auguro che il presidente del Consiglio italiano, ragionando sullo scacchiere internazionale della lotta al terrorismo, non si faccia condizionare dalle elezioni e dai sondaggi”.

 

 

I 5.000 della Libia, l’indiscrezione su Putin

 

Secondo Giuliano Amato, a proposito di guerra al terrore, un intervento italiano in Libia è “scontato” ma condivide al momento la posizione prudente del governo: “Essere, sì, pronti a intervenire in qualsiasi momento con i corpi speciali ma rimandare l’intervento massiccio, con i famosi 5.000 uomini, a una fase successiva, ovvero a una fase in cui il governo libico dimostrerà di avere il supporto delle principali tribù della Libia”. Il tema libico, inteso come guerra al terrore, ci porta ad affrontare, alla fine della nostra conversazione, un punto cruciale che riguarda un altro scenario in cui la comunità internazionale sta combattendo la guerra al terrorismo: la Siria. Amato ha sempre sostenuto che su questo fronte fosse necessario scegliere senza fare gli schizzinosi se stare dalla parte di chi combatte lo stato islamico (Putin, Assad, gli Stati Uniti) o se restare neutrali e fare il gioco dell’Isis. E se si chiede ad Amato la ragione per cui il quadro siriano è stato scombussolato dal ritiro di Putin la risposta dell’ex premier è secca e informata.

 

“Ho notizie sufficienti per credere che il ritiro di Putin sia legato a una sua divergenza con Assad. I patti con il dittatore siriano erano chiari: proteggere il regime di Assad in cambio di una sua desistenza. Qualcosa è andato storto. Difficile dire come andrà a finire. Facile dire che se la pace in Siria non si riesce a ottenere – e se i governi internazionali non riescono a essere efficaci come dovrebbero nella lotta al terrore – è perché non si afferra bene il tema da cui abbiamo iniziato. I tre cerchi. I consensi. Gli elettorati diversi. Se non partiamo da qui difficilmente nei prossimi anni riusciremo a capire che direzione prenderà la politica mondiale”.

 

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.