Roberto Giachetti (foto LaPresse)

Giachetti (Pd) ci spiega perchè non gli fanno schifo i voti di destra

Salvatore Merlo
“Se vai al ballottaggio per fare il sindaco e cerchi la purezza del voto di sinistra, beh, l’esito è scontato”, ci dice il candidato sindaco di Roma per il Partito democratico. "L’aspetto ideologico, di schieramento, interessa solo il ceto politico. La mia campagna elettorale è, e sarà, concentrata sulla città, sui problemi dei cittadini".

Roma. “Guardi, una cosa è sicura: se vai al ballottaggio per fare il sindaco e cerchi la purezza del voto di sinistra, l’esito è scontato”. E cioè? “Perdi”. E Roberto Giachetti, che pure è il candidato del Pd a sindaco di Roma, dunque il candidato della sinistra, si esprime con la spigliatezza che forse richiedono i tempi, quella disponibilità alla contaminazione, al pragmatismo de-ideologizzato – cinico? Chissà – che a Milano, per esempio, sospinge a sinistra il manager (di destra?) Beppe Sala. “Io farò di tutto perché mi votino anche gli elettori della destra”, ripete allora Giachetti. “E questo, attenzione, non vuol dire né che io sia di destra (parentesi dal tono ironico: “Mi pare che lì abbiano già abbastanza rappresentanti in campo…”) né tanto meno vuol dire che io sia intenzionato a fare accordi con il ceto politico della destra”. Nemmeno con Alfio Marchini, dopo le elezioni? Su, dica un’impossibile verità. “Marchini lo rispetto, ma per me rimane un avversario. Gli elettori, invece, sono un’altra cosa. L’aspetto ideologico, di schieramento, interessa solo il ceto politico. La mia campagna elettorale è, e sarà, concentrata sulla città, su Roma, sui problemi dei cittadini. Se sostengo che si debba costruire una linea di tram che va da Marconi a Ippolito Nievo, è di sinistra o è di destra?”. E insomma: il tram è di sinistra o di destra?, si chiede Giachetti. Sembra una canzone di Giorgio Gaber. “Perché questi problemi sono un po’ assurdi. Specialmente oggi”, dice.

 

Eppure per qualche giorno, anzi per parecchi giorni, si è detto che alle primarie del Pd avrebbero votato i sostenitori di Denis Verdini. Giachetti è stato criticato, da sinistra: i voti di Verdini andavano a lei, Giachetti. “Mi viene un po’ da ridere”. E perché mai, scusi? “Primo: perché Verdini, con tutto il rispetto, non so quanti voti abbia. Secondo: perché non sarebbe nemmeno potuto venire lui a votarmi, e nemmeno un suo famigliare, mi pare siano residenti a Firenze e non a Roma. Terzo: a nessuno tra i cittadini gliene frega niente delle simpatie che manifesta Verdini, questa cosa interessa solo il Palazzo, le lotte interne, la nomenclatura stanca e un po’ capziosa”. Ecco, ecco il punto: la nomenclatura della sinistra. Provocazione: queste sono le polemiche dell’apparato post diessino. E allora Giachetti mette su un tono tra lo spiritoso e l’implicito: “Qualcuno mi pare che stia lavorando perché al ballottaggio ci arrivino i 5 stelle assieme al centrodestra”. Pare che Massimo Bray non si candidi, ma ci sono Marino, Fassina… “Chi, in questo momento, non si unisce alla sfida del centrosinistra e va in campo senza alcuna speranza di vincere e nemmeno di competere seriamente, ha un solo obiettivo: vuole danneggiare il Pd”.

 

[**Video_box_2**]Vuole danneggiare lei, Giachetti. “Il danno non sarebbe fatto a me, ma alla città”. Vincerebbero i Cinque stelle, come sarebbe Roma con loro al governo? “Non ho un approccio pregiudiziale nei loro confronti. Hanno molti voti, e i loro elettori prima di tutto meritano rispetto. Certo, una cosa è annunciare licenziamenti nel pubblico impiego e accostarsi alla grammatica di Salvini per quanto riguarda l’immigrazione, un altro paio di maniche è poi governare. Spesso a loro questo secondo passaggio, dopo la raccolta dei voti, non è riuscito granché bene”. Okay. Ma prendere i voti della destra richiede anche una certa capacità di accarezzare per il verso giusto le inclinazioni tipiche di quell’elettorato: può mai riuscirci un esponente politico del Pd?  “Guardi, certamente io non sono per le ruspe, ma non sono nemmeno perché ciascuno faccia come gli pare. Sono stato a Tor Sapienza, dove alcuni mesi fa ci furono tensioni perché arrivavano dei rifugiati. E lì un signore ha usato con me un’espressione che trovo perfetta, mi ha detto: se c’hai un bicchere pieno da mezzo litro, non ci puoi aggiungere un litro d’acqua. Questo significa che l’immigrazione va governata e non scaricata sulle periferie che sono già un cortocircuito di malesseri. La ruspa è un fumetto di propaganda, e anche piuttosto squallido. Roma ha bisogno di governo”. Alle primarie hanno votato in pochi. “E’ mancato il voto d’apparato. Ma il voto d’opinione tiene, altro che”. Lei dice. Voto d’opinione, dunque. Anche di destra? “Alle primarie no. Alle elezioni spero di sì”.

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.