Graziano Delrio con Matteo Richetti (foto LaPresse)

Richetti, Delrio e gli altri. Che cosa hanno in mente i delusi dal renzismo dell'ultima ora

David Allegranti
Maldipancia, tracce di dissenso, scenari di candidature congressuali. Matteo Richetti da renziano della prima ora, una specie di numero due alla Leopolda del 2011, è diventato un deluso dell’ultima mezz’ora. La questione è: Richetti, se si candida, ha il sostegno di Graziano Delrio, altro quasi-numero due di un tempo, oggi molto freddo con Palazzo Chigi oppure no?

Roma. Maldipancia, tracce di dissenso, scenari di candidature congressuali. Matteo Richetti da renziano della prima ora, una specie di numero due alla Leopolda del 2011, è diventato un deluso dell’ultima mezz’ora.

 

 

E’ di tre giorni fa l’ultima intervista, sulla Stampa, nella quale ha criticato il Pd e Matteo Renzi per la gestione del pasticcio unioni civili. Lo preoccupa l’arrivo di Denis Verdini in maggioranza dopo il foto di fiducia di Ala: “La fiducia - ha detto Richetti - è il pieno inserimento in un progetto di governo che presuppone una visione comune di paese e di società, vuole dire che da oggi condividiamo con Verdini le idee legate a fisco, economia, legalità, strumenti di sostegno alle povertà. E a me pare che questo oggettivamente sia troppo”. Poche settimane prima aveva fatto un’altra intervista per dire che la rottamazione è fallita e che il Pd non ha più identità. Tutti interventi che non smuovono neanche un po’ Renzi, con cui i rapporti sono azzerati. Richetti fu scaricato quando ricevette l’avviso di garanzia per peculato che lo costrinse ad abbandonare la corsa per la presidenza della Regione Emilia-Romagna, poi vinta da Stefano Bonaccini (Richetti pochi mesi fa è stato assolto, ma non ha mai gradito il trattamento, per nulla garantista, che gli è stato riservato).

 

Dopo un’altra intervista di novembre sul fallimento della rottamazione, il deputato emiliano scrisse anche una lettera pubblica, pochi giorni prima della Leopolda, al segretario del Pd. L’ex presidente del consiglio regionale dell’Emilia Romagna colpì Renzi in uno dei suoi punti deboli, quello della classe dirigente sul territorio: “Abbiamo sottovalutato la capacità di resistenza delle dirigenze locali al cambiamento. Che certo deve avvenire con processi democratici e partecipati ma che noi dobbiamo supportare. Quante persone che ci hanno accompagnato e sostenuto sono state lasciate sulla porta o addirittura fuori dal Pd? Quanta Leopolda è stata costretta ad una civica nel proprio paese perché il Pd si è chiuso a riccio dalla paura? E ti chiedo, non è anche un nostro problema? Ci sono ancora troppi potentati locali che resistono”. Risultato? Nessuna risposta. L’isolamento è totale, persino fisico; Richetti in Transatlantico è sempre per fatti suoi, i renziani neanche gli rivolgono parola, ne minimizzano la portata, dicono che se si candida al congresso del Pd non ha speranze. Se chiedi loro cosa ne pensano della candidatura di Richetti, ci ridono su. Lui, intanto, cerca di valutare l’impatto delle sue sortite. Agli amici dice di ricevere molti apprezzamenti privati (in pubblico no, e men che meno per sms, ché poi resta traccia). Poi valuterà il da farsi. Al congresso non ha intenzione di appoggiare Enrico Rossi, men che meno Roberto Speranza, anche se qualcuno lascia circolare l’ipotesi che sia Richetti in prima persona a scendere in campo. Una cosa è certa: Richetti sta preparando alcune iniziative politiche in giro per l’Italia, l’obiettivo è parlare con i renziani della prima ora, quelli che secondo lui sono i più delusi dalla gestione attuale del Pd. Quelli che non pensavano di trovarsi, ragionano in ambienti richettiani, una segreteria così lottizzata.

 

[**Video_box_2**]La questione è: Richetti, se si candida, ha il sostegno di Graziano Delrio, altro quasi-numero due di un tempo, oggi molto freddo con Palazzo Chigi (da cui è stato fatto traslocare per andare al ministero dei Trasporti, dopo l’addio di Maurizio Lupi) oppure no? Già, che fa Delrio? Anche lui non gradisce l’avvicinamento di Verdini alla maggioranza e lo aveva già fatto presente nelle settimane scorse. Su Repubblica, lunedì 29 febbraio, è tornato a parlarne: “Quelli di Verdini sono voti aggiuntivi, limitatamente a una legge”. Quel “limitatamente” dice molto. Domanda dell’intervistatrice? Verdini entrerà in maggioranza o addirittura potrebbe confluire nel Pd? Risposta di Delrio: “Il Pd non cambierà in nessun modo la sua natura di partito riformista nuovo e di centrosinistra. Nel Pd entra chi ha quel progetto nella testa”. Ma era un altolà a Verdini o uno stop a Renzi, che sta facendo avvicinare troppo Ala al Nazareno?

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  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.