Jean-Claude Juncker (foto LaPresse)

Qualcuno salvi il placido Juncker

David Carretta
Il presidente dell'Unione europea incontra Renzi, ma presenta un magro bilancio. Il problema è che governa l'Europa come il piccolo Lussemburgo: “gentlemen’s agreement” e una crisi per volta

Bruxelles. Al 483° giorno del suo mandato come presidente della Commissione “dell’ultima chance”, Jean-Claude Juncker sarà oggi a Roma per un incontro chiarificatore con Matteo Renzi. Dopo tre mesi di scambi di accuse con il presidente del Consiglio, Juncker intende “costruire ponti, discutere insieme di immigrazione, economia, investimenti”, secondo quanto riferito da una fonte europea all’Ansa. “Juncker è in politica da 35 anni e tutta la sua vita politica è stata fondata sul consenso”, aveva spiegato martedì il suo portavoce: “Come presidente della Commissione il suo obiettivo è unire le persone, non dividerle”. Tra referendum anti europei e frontiere che ritornano, questo non è il momento di aprire un conflitto maggiore con l’Italia per qualche decimale di deficit in più. Ma se l’Europa oggi si sta disintegrando, schiacciata dal ritorno del nazionalismo, dall’ondata di rifugiati e dalla minaccia di un effetto domino della Brexit, è anche perché Juncker governa l’Unione europea come se fosse il suo Lussemburgo: con piccoli compromessi tra amici e una piccola squadra alle redini del potere.

 

“Siamo impegnati 24 ore su 24, 7 giorni su 7”, è uno dei refrain del portavoce della Commissione, Margaritis Schinas, dall’inizio del mandato Juncker. All’origine era per il piano di investimenti da 315 miliardi e la flessibilità. Poi c’è stata la Grecia sulla porta d’uscita dell’euro. Oggi è la crisi dei rifugiati, con la parentesi del negoziato per evitare la Brexit. Con il “Team Juncker” la grande macchina di 33 mila funzionari – gente competente e globalizzata, in gran parte ispirata da ideali europei – è stata messa a riposo. Le redini della Commissione sono affidate a un piccolo gruppo di fedelissimi, concentrato sulla bolla brussellese. Il vicepresidente Frans Timmermans è il Mister Wolf che risolve problemi. Il capo-gabinetto, Martin Selmayr, è l’uomo da cui passano tutte le decisioni e tutte le nomine e che pretende di controllare ogni cosa. “Da mesi l’ordine di servizio è di non fare nulla”, si lamenta con il Foglio un funzionario. All’Europarlamento, il numero di giornate di sessione è stato ridotto per la mancanza di leggi su cui votare. All’ordine del giorno del collegio sono più i dibattiti d’orientamento che le proposte legislative. Ma la Commissione non è stata comunque in grado di vedere le grandi crisi arrivare, mentre i giochetti politici di Selmayr hanno complicato le soluzioni.

 

[**Video_box_2**]Contrariamente alla mitologia mediatica italiana, Juncker non è istintivamente pro tedesco. L’ex premier lussemburghese è il prodotto della cultura europeista della fine del secolo scorso, incentrata sul compromesso franco-tedesco. I suoi 8 anni come presidente dell’Eurogruppo erano stati in gran parte così: una serie di “gentlemen’s agreement” tra Berlino e Parigi per arrotondare e smussare i conflitti, fino alla crisi dell’euro che portò al suo allontanamento. Ma l’Ue è cambiata. La zona euro andrebbe rapidamente completata con la garanzia europea sui depositi per rafforzare le difese di fronte alle turbolenze finanziarie globali. Il mercato interno è ancora incompiuto, e fa perdere miliardi di euro di pil a tutta l’Ue. E’ necessario cominciare a immaginare il 2017, quando il Fiscal compact dovrebbe iniziare a essere integrato al Trattato e i leader devono ridiscutere del bilancio comunitario. C’è da decidere se concedere lo status di economia di mercato alla Cina. Occorre avanzare sull’accordo di libero scambio con gli Stati Uniti. Renzi lo ha denunciato più volte in pubblico o nelle stanze più riservate dei vertici europei, fino a strutturare le sue critiche nella “Proposta strategica dell’Italia per il futuro dell’Ue”. Ma, abituato al placido governo del Gran ducato, Juncker riesce a occuparsi di una sola cosa per volta. “Niente impedisce di pensare in grande”, ma “siamo molto impegnati” con la crisi dei rifugiati, ha risposto il suo portavoce.

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