Mario Monti (foto LaPresse)

Vi spiego le mie sberle a Renzi

Claudio Cerasa
“La rappresentazione ostile dell’Europa è un gioco distruttivo a cui l’Italia sta partecipando più di ogni altro paese. L’Europa si sta spezzando. La nascita di due Euro diversi? Ora non possiamo escluderla”. Intervista a Mario Monti.

Roma. “Ah, ho capito… Quindi, nella sostanza, io sarei il portavoce di una spietatissima Europa che si muove nell’oscurità più tetra per far cadere il presidente del Consiglio. Ho capito, interessante…”. Sono le 9.30 di giovedì mattina, siamo a Palazzo Giustiniani, dietro Palazzo Madama, dove si trovano gli uffici dei senatori a vita, e Mario Monti arriva sorridendo nel suo ufficio con una copia della Stampa sotto braccio. Titolo di apertura: “La spallata di Monti per far cadere Renzi: ‘Basta attaccare l’Ue’”. Monti ci ride sopra, ironizza sulla ricostruzione “bizzarra” del quotidiano torinese ma al di là delle interpretazioni creative il professore rivendica, rilanciandoli, gli argomenti contenuti nel duro confronto avuto mercoledì in Senato con il presidente del Consiglio, sul tema del rapporto tra Italia e Europa.

 

“Sono convinto – insiste l’ex presidente del Consiglio – che la distruzione sistematica a colpi di clava e di scalpello di tutto quello che l’Unione europea ha significato finora farà correre grossi rischi all’Italia e all’Europa. Una lettura pigra di questa mia affermazione potrebbe far pensare che sto dicendo che sia il governo Renzi a correre dei rischi. Ma se mi permettete il mio discorso è più generale e riguarda non questo governo ma, più semplicemente, il paese in cui viviamo e il continente in cui ci troviamo. E immagino sia questa la ragione per cui mercoledì, dopo il mio intervento in Aula, diversi senatori, anche nel Pd, mi si sono avvicinati per dire: oh, finalmente”. Che sta succedendo all’Italia, professor Monti? “Guardi. L’Europa, e lo dico da europeista mi verrebbe quasi da dire sfegatato, sta diventando, nei suoi organi rappresentativi, soprattutto nel Consiglio europeo, un’accozzaglia di interessi politici nazionali, anzi spesso di partito, perseguiti nel brevissimo periodo, spesso a danno dell’interesse comune europeo. Non è più vista, l’Europa, come un cantiere di investimento ma come un bene di consumo. Molti leader considerano l’Europa una realtà da demonizzare per questioni relative al consenso personale e tendono quindi a guardare non certo alle future generazioni ma neppure alle prossime elezioni. Guardano più semplicemente ai prossimi sondaggi. Il presidente Renzi ha molti meriti che gli ho riconosciuto fin dall’inizio e ha mostrato coraggio in diversi passaggi della sua esperienza di governo. Ma la rappresentazione tendenzialmente ostile e derisoria dell’Europa che è solito fare è un gioco distruttivo a cui l’Italia purtroppo sta partecipando più di ogni altro paese”.

 

Professore, ci sembra che lei dia come un dato acquisito il fatto che Renzi con la sua battaglia in Europa non otterrà nulla, e che anzi potrebbe essere vittima di un effetto boomerang. “Non sono sicuro che non riuscirà a ottenere nulla. Posso però dire che per il bene dell’Italia e anche dell’Europa mi auguro che la Commissione non sia permissiva sul tema della flessibilità”. Ci sta dicendo che si augura che la legge di Stabilità del governo venga bocciata dall’Europa? “Sto dicendo un’altra cosa. Sto dicendo che un paese che si autoconvince che le leve giuste per azionare la crescita si trovino nei cavilli della parola flessibilità commette un errore almeno per due ragioni. La prima è che è profondamente diseducativo far credere che i problemi dell’Italia siano in Europa. Non è così, purtroppo, e non vorrei che la chiave del ‘ci serve maggiore flessibilità’ fosse un modo come un altro per non affrontare alcuni temi urgenti che andrebbero invece presi di petto e che, quelli sì, avrebbero la forza di far crescere il paese, tra cui il taglio alla spesa pubblica. Dobbiamo essere onesti: l’Europa, in questi anni, ha avuto il merito di indurci, anche con regole non perfette, a essere più responsabili e rispettosi verso le generazioni future. Dare di nuovo l’idea che tutto si cambia con quella parolina magica – flessibilità – è come voler dire, ancora, che se il nostro paese ha un problema alla fine ci pensa, come sempre, lo stato Pantalone”. E la seconda ragione? “La seconda ragione per la quale diffido quando si parla troppo di flessibilità è che nel caso specifico la flessibilità che il governo chiede in questa legge di Stabilità è pericolosa per l’Italia ma anche per l’Europa. E qui arriviamo al vero nocciolo della questione”. Pericolosa, addirittura? “Sì. L’Italia chiede flessibilità per quanto riguarda i costi che il nostro paese deve sostenere per l’attività umanitaria relativa alla politica sull’immigrazione. Ma se l’Europa dovesse concederci questa flessibilità potremmo rallegrarcene sul breve termine ma dovremmo fare i conti con un altro segnale drammatico di disgregazione dell’Europa. Mi spiego meglio: non devono essere i singoli paesi a pagare di tasca propria per gestire i flussi dell’immigrazione; deve esserci, come sostiene da tempo il ministro Padoan, che rispetto e stimo molto, un bilancio comunitario che si deve occupare di risolvere problemi che riguardano la frontiera esterna comune dell’Europa. Per questo mi auguro che l’Europa sia esigente. Per questo mi auguro che l’Europa conceda la flessibilità per fare reali investimenti pubblici ma non vada oltre. Le spese per gestire oggi profughi e immigrati dovrebbero essere a carico del bilancio europeo. Se non lo sono, saranno gli italiani a sostenerle. La flessibilità autorizzerebbe il governo a far pagare quelle spese agli italiani di domani. Per le stesse ragioni, infine, mi auguro che in nome del principio di integrazione l’Europa sia severa non solo con i paesi che hanno un disavanzo pubblico importante ma anche con quelli, come la Germania, che hanno un surplus nei conti con l’estero ormai fuori controllo che frena la crescita complessiva dell’Europa”. Professore, ma è possibile pensare che sul tema dell’immigrazione esista ancora un’unica Europa? E’ possibile immaginare che su questi temi esista ancora una politica europea, quando viviamo in un continente dove alcuni paesi chiudono senza problemi le proprie frontiere e dove i leader di ogni nazione, compresa la Merkel, si preoccupano più dei propri confini che dei confini dell’Europa?

 

“E’ questo il punto centrale del ragionamento. L’Europa oggi vive una fase di disgregazione importante e questa frammentazione, potenzialmente letale, ha un doppio riflesso: da un lato c’è la moneta, dall’altro ci sono le migrazioni. La mia preoccupazione, anche per l’azione italiana, si lega proprio a questo punto. Purtroppo siamo in una fase storica in cui la famosa Europa che viaggia con marce diverse non è più uno spauracchio remoto ma è realtà. Lo vediamo ogni giorno osservando cosa succede con i confini. Lo vediamo ogni giorno osservando alcuni paesi del nord Europa, dalla Danimarca all’Austria passando per l’Ungheria, che decidono di chiudere Schengen, come a voler trasformare l’Europa del sud in una sorta di continente cuscinetto: un bastione di protezione per i decenni futuri. Quella disgregazione oggi esiste ed è un dato di fatto. Ma il dramma è che gli stessi paesi che oggi giocano, se così si può dire, con le frontiere un domani potrebbero scegliere di giocare la stessa partita con la moneta unica. Lo scenario dei due euro, sfortunatamente, è uno scenario che non si può escludere. Lo abbiamo evitato di un soffio lo scorso anno, ai tempi del referendum greco. Difficilmente lo eviteremo se il processo di disgregazione andrà avanti con questa velocità. Per questo dico che ogni colpo di clava e di scalpello che viene dato all’Europa è un colpo che si dà alla sua integrità e anche al suo futuro. Il modo caricaturale, poco rispettoso della realtà, in cui il presidente Renzi parla di Europa può offrire dardi e frecce agli archi dell’Europa del nord. E se poi, per esempio in Germania, i partiti dell’estrema destra dovessero avanzare la situazione potrebbe improvvisamente precipitare, anche per noi. Dico: ci rendiamo conto con che fuoco stiamo giocando?”.

 

[**Video_box_2**]Viene da chiedere in modo quasi naturale: ma non è che i segnali di nervosismo che arrivano dai mercati sono un segnale di nervosismo che viene indirizzato dagli investitori al governo italiano? Mario Monti sorride, scorre con l’indice della mano destra lo schermo del suo smartphone, va sulla pagina del suo telefono che misura l’andamento dei titoli di stato italiani rispetto a quelli tedeschi – “spread a 132 ora, sì, un po’ sta salendo” – ma al contrario di quello che si potrebbe credere dice che no, “non c’è nessun segnale particolare, gli investitori non hanno paura dell’Italia”. “Il punto è un altro. Non c’è dubbio – prosegue Monti – che in Europa esista un sentimento di lieve diffidenza rispetto ad alcune scelte fatte dal presidente del Consiglio. Io, per esempio, penso che sia stato un grave errore, dettato probabilmente anche qui dalla ricerca del consenso, lasciar morire la politica del taglio alla spesa pubblica. In virtù di questa scelta risulta ancora più complicato comprendere, per me e immagino anche per molti osservatori in Europa, come sia stato possibile, in un paese con un alto debito pubblico e un’alta ricchezza privata, aver utilizzato le poche risorse a disposizione per ridurre le imposte sul patrimonio o per mettere in piedi provvedimenti come gli 80 euro e i 500 euro piuttosto che stimolare la crescita e l’occupazione agendo con più incisività sul cuneo fiscale. A mio modo di vedere, finora, le modifiche del sistema fiscale sono state fatte in modo un po’ improvvisato e hanno ridotto le risorse disponibili per quel cuneo fiscale che avrebbe avuto un impatto importante sul tessuto produttivo italiano. Lo dico da una posizione non certo ostile nei confronti dell’approccio di Renzi sulla politica economica e lo dico da persona che ha apprezzato tutte le volte in cui il presidente del Consiglio ha provato a cambiare la mentalità degli italiani su alcune partite importanti come la riforma del lavoro. Io penso, come Renzi, che un politico che vuole cambiare l’Italia deve sforzarsi di cambiare un po’ la mentalità degli italiani. Non vorrei però, magari senza averne l’intenzione o esserne consapevole, che Renzi finisse per modificare soprattutto un aspetto della mentalità tradizionale degli italiani che a me è sempre parso il meno pericoloso: la simpatia per l’Europa, la consapevolezza che senza l’Europa l’Italia sarebbe meno moderna e più fragile”.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.