Tito Boeri è nato a Milano il 3 agosto 1958. E’ presidente dell’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale dal 24 dicembre 2014

Boeri, oggi, domani

Marianna Rizzini
La scalata all’Inps, il network, le relazioni con l’establishment, il partito dello spread. Chi è Tito Boeri e come nasce il (suo) sogno di trasformarsi nel nuovo Mario Monti

La successione pare al momento impossibile (successione a Matteo Renzi). La suggestione indicibile (suggestione dell’Uomo Tecnico che, come un Mario Monti, emerga dalle burocrazie europee nebbiose per tramutarsi in soluzione anticrisi). L’autocandidatura – o candidatura a mezzo establishment economico-giornalistico antirenziano – sembra parimenti improbabile (candidatura o autocandidatura a successore tecnico dell’attuale premier da parte di Tito Boeri, presidente dell’Inps, già professore bocconiano e già consulente di alte istituzioni finanziarie, dall’Fmi in giù). Eppure quel nome, Tito Boeri, come ventilato dal Foglio di venerdì 12 febbraio in base a indiscrezioni di ambienti internazionali (area Ue) e governativi, circola. Circola come fantasma del passato che vuole tornare, come se il 2016 fosse un po’ un nuovo 2011, quando in Europa si parlava criticamente di un’Italia scolara discola (governo Berlusconi) e dell’ipotesi Mario Monti. E, a sentire le voci che scendono da Bruxelles, è come se, oggi, il cosiddetto “club” supercritico e molto antirenziano degli ex premier (Romano Prodi, Massimo D’Alema, Enrico Letta), in linea con gli editoriali non molto renziani del fondatore di Repubblica Eugenio Scalfari, e con qualche perplessità del Corriere della Sera, facesse da catalizzatore ai pensieri segreti dei burocrati amanti di scenari alternativi: “se, se, se, se l’Italia si trovasse economicamente su una brutta china, a chi la affidereste?”, è la domanda. I fatti, intanto: c’è che alcuni ambasciatori, e alcuni funzionari di alte istituzioni internazionali, sono andati a riferire voci e dubbi a personalità vicine al premier Renzi (“Ci risulta un piano per far cadere il governo. Siete sicuri che il premier non faccia la fine che ha fatto Berlusconi nel 2011?”). E, a quel punto, le personalità vicine a Renzi hanno strabuzzato gli occhi, sorridendo anche un po’. Eppure il nome del tecnico dei sogni prodian-dalemian-lettian-bruxellesi non smette di circolare  – Tito Boeri, appunto – anche se non si sa bene se e come verrà usato in futuro. Circola come ipotesi di scuola, della serie “e se davvero la crisi si avvitasse di nuovo”?, e se davvero “Renzi dovesse incontrare difficoltà?”, tra crolli in Borsa e debito sovrano dell’eurozona, come scrive Andrea Mollica sul blog di Gad Lerner, tributando preventivi onori a Boeri, pur nell’ambito del periodo ipotetico dell’irrealtà cui si attiene Lerner stesso (interpellato in proposito, Lerner, che comunque per Boeri nutre “grande ammirazione personale e culturale”, dice che non vorrebbe mai partecipare “a un gioco di società destabilizzante” sul suo nome, men che meno per trovare un nuovo Mario Monti, e anzi “augura all’Italia di non averne bisogno”: “Basta scorciatoie tecniche quando è evidente che occorre cambiare le regole dell’Ue, non i loro esecutori più o meno fedeli”.

 

E però il nome di Tito Boeri non è nuovo a ipotesi di “upgrade” istituzionale (da professore a presidente Inps, ma c’era chi lo vedeva già ministro), e da presidente Inps chissà: l’uomo è ambizioso, la politica non gli dispiace, e dall’Inps, che poteva in teoria diventare una turris eburnea lontana dalla ribalta, Boeri esterna tranquillamente (per esempio nelle lunghe interviste tv, come da Lilli Gruber l’anno scorso o da Maria Latella quest’anno). Circola, infine, il suo nome, in associazione all’idea di “tempesta perfetta”, che per gli oppositori di Renzi, a sinistra come a destra, è anche un wishful thinking: sul Giornale del 13 febbraio, articolo di Adalberto Signore, non solo si rilanciava il sospetto di un sognato commissariamento di Renzi nelle stanze europee e presso gli ambienti vicini agli ex premier Prodi-D’Alema-Letta, ma si prendevano le prossime elezioni amministrative romane come tassello finale del possibile complotto: due candidati Pd per una torta troppo piccola (Roberto Giachetti e Roberto Morassut, con Renzi in possibile difficoltà e con i Cinque Stelle in battaglia), ed ecco che l’idea del “tecnico salvifico” scende giù giù fino alla capitale. E se la storia può risultare incredibile, il profilo di Boeri come “papabile riserva della Repubblica” non pare così peregrino a coloro che da Bruxelles sono giunti a Roma con la suddetta domanda: non è che un nuovo 2011 è in arrivo?

 

Intanto, all’Inps, c’è il Tito Boeri professore bocconiano con PhD alla New York University, fan dell’insegnamento in lingua inglese anche sotto la Madunina, ex consulente non solo dell’Fmi ma anche della Banca Mondiale, della Commissione europea e del governo italiano, senior economist all’Ocse dal 1987 al 1996, collaboratore della Stampa e poi di Repubblica, direttore della Fondazione Rodolfo Debenedetti (con grande stima dell’Ing. Carlo De Benedetti), cofondatore del sito economico e trendsetter la voce.info, diventato popolare sul web negli anni neri della crisi. Ultimo ma non ultimo: Boeri è direttore scientifico del Festival dell’Economia di Trento, anche quello evento trendsetter, tra panel, Fiat e premi Nobel.

 

Prima di sedersi in vetta all’Inps, Boeri di pensioni parlava già nei talk-show, anche se la fama televisiva è precedente: fu infatti nel 2005 che si fece notare in uno scontro Rai con l’allora ministro Giulio Tremonti (i due hanno poi continuato a scontrarsi per una decina d’anni, fino a un ultimo deflagrare di disaccordo a “Ballarò”. E se Boeri diceva “la crisi in Europa noi economisti l’avevamo prevista da tempo”, Tremonti rispondeva “avendo sentito l’intervento di Boeri”, gli veniva da “dare ragione a Beppe Grillo”. Ma non si può neppure dire che Tito Boeri sia inviso ai grillini, anzi: nel 2011, un suo intervento video dal titolo “l’Italia può ripartire” è comparso sul sito di Beppe Grillo, come “Passaparola” (così sono chiamati i contributi di personalità quantomeno non considerate “zombie” nell’universo a Cinque Stelle). E oggi certe dichiarazioni di Boeri sul “reddito minimo”, da far arrivare però solo “a chi ha davvero bisogno”, e su alcune proposte di M5s “da considerare”, specie in tema di trasparenza, lo rendono profilo potenzialmente non indigeribile (per quale carica non si sa, lui intanto si prepara) anche fuori dall’area ex Pci-Pds-prodiana, e ne fanno oggetto ideale delle elucubrazioni futuribili nel fronte anti-Renzi.

 

Poi c’è la storia, storia sua e della sua famiglia, storia di grande borghesia lombarda (“…romanzo milanese molto Tenenbaum, come il film di Wes Anderson su una famiglia molto disfunzionale che mette al mondo tre bambini di estremo talento e qualche nevrosi”, ha scritto su questo giornale Michele Masneri, nel ritratto della “dinastia” Boeri). Ed è la storia dei Boeri che fa l’uomo (Tito). Intanto il luogo prediletto: Sant’Ambrogio, nel senso della basilica e dell’omonimo quartiere del centro-centro di Milano dove tutti i Boeri più o meno vivono o hanno vissuto. Poi, i personaggi, protagonisti e comprimari: la madre Cini, stimata architetto e designer della generazione Gae Aulenti; il padre Renato, famoso neurologo ed ex capo partigiano del gruppo “Giustizia e Libertà”, e i tre fratelli. Perché non c’è solo Tito, il figlio minore, l’economista che le burocrazie antirenziane già vorrebbero premier (considerato anche il buon rapporto con il Quirinale), ma anche Sandro, figlio maggiore e giornalista, ex direttore di Focus, e anche Stefano, archistar da qualche tempo (e per sempre) associato al “bosco verticale”, grattacielo vincitore di premi che svetta in fondo a Corso Como, con il quartiere Isola sullo sfondo e il centro direzionale tutt’attorno, icona della nuova Milano pre e post Expo. E a guardarli, Stefano e Tito, i due fratelli Boeri più mediatici, potrebbero sembrare in fondo la stessa persona, ché sempre, nelle loro vite, alla fine spunta o rispunta la politica, comune denominatore delle due facce della luna: Stefano l’archistar è infatti anche noto per l’amore-odio con il sindaco uscente di Milano Giuliano Pisapia, di cui fu avversario alle primarie ma pure, per un breve periodo, assessore. E se Tito è considerato, in un certo milieu, possibilità segreta e fantasiosa extra-Renzi (anche se è stato proprio Renzi a chiamare Boeri all’Inps), Stefano è visto come riserva della Repubblica in scala locale (qualcuno, l’estate scorsa, lo sognò addirittura sindaco).

 

[**Video_box_2**]E pensare che l’uomo (Tito) era stato etichettato, al suo arrivo all’Inps, come emanazione tecnica assai renziana, nel senso della rottamazione in tema previdenziale, specie nel rapporto con i sindacati (che avevano migliori agganci con l’ex commissario straordinario Tiziano Treu, fino a un minuto prima della nomina di Boeri considerato candidato numero uno per la presidenza dell’ente pensionistico, e cioè fino alla vigilia di Natale 2014). E invece. Invece nel frattempo la chiamata del premier era giunta informalmente via cellulare a Tito Boeri, anche editorialista di Repubblica spesso critico con Renzi (team della telefonata: vuoi essere presidente dell’Inps?). Chiesto e fatto: l’economista aveva poi raccontato a Lilli Gruber, durante una puntata di “8 e mezzo”, il suo (breve) tentennare. Un’ora soltanto per il “sì”, motivato con un: “Ho pensato che non avrei potuto continuare a fare quello che faccio”. Se avessi rifiutato in quel momento, diceva Boeri, come avrei  potuto, in futuro, continuare a criticare e scrivere contro il governo (di Renzi o di altri) “con la stessa ferocia?”. “Più facile criticare che fare”, era comunque, già dopo qualche mese, il retropensiero del Boeri di rottamazione ma pure di tradizione (che prima del Jobs Act si faceva portatore di una proposta alternativa e “de sinistra” al Jobs Act, anche detta proposta Boeri-Garibaldi). Dall’Inps, oltre a dare battaglia contro le pensioni d’oro, Boeri non sempre è parso in perfetta sintonia ideologica con il ministro del Lavoro Giuliano Poletti – ed è una non-sintonia anche antropologica, la loro, ché i due non potrebbero essere più diversi: Boeri in camicia bianca e cravatta larga, con l’espressione calma e l’eloquio disinvolto di chi ha studiato all’estero e ha ben frequentato all’estero; Poletti in camicia azzurra da uomo ex Coop, con accento emiliano purissimo e fisiognomica natalizia (gnomo, folletto, Santa Claus: il volto è quello).

 

Ma come è possibile che questo Tito Boeri in versione “Monti bis” – miraggio di certi mondi e di un certo establishment, ipotesi scherzosa o non così scherzosa – sia lo stesso Boeri che, non molto tempo fa, in perfetta concordia con Renzi, ha chiesto all’Europa, intervistato dal quotidiano tedesco Handelsblatt, una maggiore flessibilità sui requisiti per andare in pensione? Mistero. Un mistero che da Bruxelles lambisce il cielo sopra Berlino e, per i cultori della dinastia Boeri in zona Corriere della Sera, sembra quasi una riedizione del miracolo a Milano.

 

Di più su questi argomenti:
  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.