L’arcivescovo di Firenze, Giuseppe Betori, con Matteo Renzi

In definitiva, che cattolico è Renzi?

David Allegranti
Le ragioni dello scontro con Bagnasco. L’equilibrio precario sulle unioni civili. Il rapporto con le gerarchie. Le differenze tra il Renzi di Firenze e quello di Roma. Limiti e forza della dottrina boyscout applicata al governo – di David Allegranti

Roma. E’ cresciuto in provincia di Firenze, in partiti di minoranza bianca in terra rossa. Suo babbo, organizzatore di pellegrinaggi a Medjugorje, quando il sindaco comunista lo faceva incazzare, non portava la famiglia alla Coop per una settimana. Sul primo numero del giornalino scolastico, Il Divino Mensile, da lui fondato, spuntò una vignetta rivelatrice: si vedeva un giovane Matteo Renzi vestito da cardinale in procinto di dar fuoco a una signorina un po’ discinta, evidentemente digiuna di precetti morali e di fede; e poi la scritta, micidiale: “Renzquemada”. Su un altro numero, poco dopo la “sconfitta” della Dc (si fa per dire: per la prima volta nel 1992 era scesa sotto il 30 per cento e aveva perso il 5 per cento), il giovane editorialista della 2°A vergava parole dure contro i vertici democristiani bolliti: “La Dc, e queste sono parole di chi crede in questo partito, deve veramente cambiare, in modo netto e deciso mandando a casa i Forlani, i Gava, i Prandini e chi si oppone al rinnovamento”. I compagni di scuola, il liceo Dante di Firenze, se lo ricordano parecchio ostile al sesso prematrimoniale e c’è chi rammenta d’averlo visto in preghiera vicino all’edicola, davanti alla scuola, insieme al gruppo dei ciellini. Insomma, dicono, “era un vero bigotto”. Poi le cose sono cambiate, ma, attenzione, Renzi non è cambiato, in fondo è rimasto sempre lo stesso, casomai è mutato il suo ruolo: un cattolico impegnato in politica, uno scout, che sa quindi mischiare cameratismo, cazzeggio, le preghiere, la chitarra e la croce, da custodire ma non esibire, che litiga con la Cei, come ieri con Angelo Bagnasco, il capo dei vescovi, sul voto segreto da concedere ai senatori sul ddl Cirinnà. Per capire il duello di oggi bisogna tornare indietro al 2010, quando il presidente della Cei disse di sognare “una generazione nuova di italiani e di cattolici che avvertono la responsabilità davanti a Dio decisiva per l’agire politico”. Renzi, allora sindaco di Firenze, commentò: “La storia di questo paese dimostra che quando i politici cattolici hanno assunto un impegno civile lo hanno fatto da laici. Una errata interpretazione della laicità, un malinteso senso dell’impegno cattolico porta chi non ha sufficiente capacità laica a fare dei pasticci in politica. L’integralismo è un problema, l’impegno cattolico un’opportunità. Il ragionamento di Bagnasco è in continuità con quello di Ruini, rispetto al fatto che i politici cattolici possano essere chiamati a interpretare la propria vocazione nella costruzione di un progetto culturale per il paese, giocando laicamente in prima persona”.

 

Attorno al “Renzi cattolico” si creano sempre dei malintesi, secondo i quali egli è o baciapile o traditore. E’ baciapile per cliché (lo scout cattolico, che va a messa la domenica, e giù con il citazionismo di Oscar Wilde sui bambini e sui cretini) e per appartenenza famigliare (la famiglia della moglie che pratica un “cattolicesimo prerisorgimentale”, così vengono descritti, in Valdisieve, i Landini; un cognato prete; la Democrazia cristiana come partito di riferimento in casa). Poi c’è il malinteso senso della cattolicità, di quelli che lo accusano d’aver tradito. Effettivamente c’è chi vede Renzi come un traditore. A Rignano e Pontassieve i compagni della prima ora del Partito popolare e della Margherita non hanno seguìto Renzi nelle sue avventure successive, vedevano nel Pd un partito troppo di sinistra per i loro gusti. Altri gli rinfacciano la sua presenza al Family Day del 2007, come Mario Adinolfi, o quelli che animano le pagine su Facebook sul “no ai matrimoni gay in Italia” (“Un popolo di persone sane di mente, con una sana sessualità, persone pulite, educate, gioiose e profondamente normali, ha conquistato il Circo Massimo. Niente genitali al vento, niente bestemmie, niente accoppiamenti selvaggi, niente mostri della chirurgia, niente violenza; possiamo chiamarla la piazza dell’amore contro la piazza sporca e perversa degli arcobaleno”). Renzi non manca occasione per entrare in conflitto con quel mondo, assumendo posizioni da “cattolico adulto” (anche se in realtà, più che cattolico adulto, Renzi è da molti punti di vista un cattolico boyscout). Nel 2013, affossò la candidatura di Franco Marini alla presidenza della Repubblica dicendo che non bastava essere cattolici per diventare capo dello stato, in un momento in cui una parte della politica voleva applicare le quote panda. Rivendicò, con parecchie frasi a effetto, una certa distinzione fra credo religioso e impegno dei cattolici in politica: “I politici che si richiamano alla tradizione cattolica sono spesso propensi a porsi come custodi di una visione etica molto rigida. Non c’è peggior rischio di incrociare il cammino con i moralisti, specie quelli senza morale”. Antonio Socci gli rispose accusandolo, in sostanza, di confinare il cristianesimo e il pensiero cattolico alla sfera privata e intimistica, insinuando il dubbio che Renzi svendesse la sua fede per conquistare Palazzo Chigi.

 

Quel che sfugge a entrambi i tiratori di giacchetta è che Renzi è un politico e che Renzi è Renzi, borderline per definizione, Pippo Inzaghi sul filo del fuorigioco. A un certo punto diventa quasi inutile ricordargli cose dette in passato. Dunque resta pur sempre un cattolico, ma lo è in foro interiore. E’ il presidente del Consiglio di un paese in cui non c’è ancora una legge sulle unioni civili. Il segretario di un partito che si chiama Pd. Probabilmente pensa che il ddl Cirinnà sia stato scritto male, che sia un pasticcio e spera che la stepchild adoption non passi. Avete presente quando Renzi si mette in testa una cosa, no? Ci mette la faccia, si schiera “a viso aperto” come dice lui. Va in tv – l’unico mezzo per raggiungere milioni di persone – e bombarda. Nel caso del ddl Cirinnà non è stato così, almeno finora. Perché c’è un punto di equilibrio fra ciò che Renzi pensa nel merito e ciò che deve fare come presidente del Consiglio. E l’equilibrio sta nel mandare avanti il Parlamento su una legge che potrebbe essere impallinata nel segreto dell’urna, senza però dare l’impressione di volerlo. Comunque sia, per Renzi, sarebbe una vittoria e nessuno potrebbe mai dirgli di non averci provato, visto che ha persino “osato” sfidare le gerarchie cattoliche. Bisogna però tener presente il momento storico in cui viviamo: scontrarsi con i vescovi è come prendersela con Bruxelles e c’è l’occasione di far passare in secondo piano tutto ciò che in questo momento non funziona, dalle banche alla fiacca ripresa del pil.

 

[**Video_box_2**]Gli viene facile, insomma; sembra che Renzi attacchi il Vaticano, ma non è così, se la prende piuttosto con il vertice dei vescovi, provvisoriamente nelle vesti di simil-tecnocrati dell’Unione europea, celebri alle cronache per l’attico di Tarcisio Bertone. Il cattolico Renzi sfrutta chirurgicamente le fragilità dell’avversario, specie quando esso è parecchio sputtanato. Ma la sua morale privata non è in discussione. “Sono orgoglioso di essere cattolico, della mia fede che non nascondo, come sono orgoglioso della mia laicità: ho vinto le primarie per fare il sindaco non il vescovo”, disse una volta. Concetto ribadito quando Palazzo Vecchio istituì un fondo di garanzia a sostegno del pagamento dei mutui per cento giovani coppie (diecimila euro l’una) fino a trentacinque anni, comprese quelle conviventi o di fatto, e quelle gay (a cui però parteciparono solo venticinque persone). L’arcivescovo di Firenze, Giuseppe Betori, già segretario della Cei ai tempi di Ruini, si infuriò: “Tenendo conto della ristrettezza delle risorse per le politiche sociali, ci si aspetterebbe un aiuto e una promozione a favore della famiglia fondata sul matrimonio, quella che la Costituzione tutela”. La replica di Renzi fu molto articolata e merita di essere riletta oggi. “Penso che la famiglia vada riscoperta in modo laico. Può piacere o meno, ma sono rarissimi i casi di giovani che vivono un’esperienza di famiglia ed è molto più forte l’esperienza, varia, di convivenza. A queste forme di convivenza a vario titolo abbiamo cercato di dare una risposta con quel provvedimento, che difendiamo. L’orientamento sessuale non è il criterio per valutare se si dà una mano a due giovani per restare a Firenze anziché andare a Scandicci. Condivido il fatto che dobbiamo fare degli interventi a favore della famiglia. Noi però abbiamo fatto un provvedimento che non è finalizzato alla famiglia, ma a persone che non ci pensano. Che esse pensino o meno alla famiglia è un fatto educativo, non amministrativo. Io fotografo una realtà dei fatti”. E la realtà dei fatti, oggi, è che l’Italia non può fare a meno, per Renzi, di una legge sulle unioni civili e che stare dalla parte dell’intransigenza dei cattolici alla Bagnasco non sarebbe da Pippo Inzaghi.

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  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.